PATTO TERRITORIALE DI BARI
 (sezione in allestimento)
Quadro economico e sociale di riferimento
 
Sistema produttivo e raccordo con la programmazione regionale

I punti di maggiore forza del sistema produttivo pugliese si riassumono come segue:
 

  Peraltro, i punti di maggiore debolezza appaiono i seguenti:   L'importanza dell'agricoltura pugliese deve comunque scontare i problemi seguenti:
  • la scarsa disponibilità di risorse idriche anche a fronte di una crescente competizione tra uso irriguo e usi civili;
  • la dimensione delle aziende, con una prevalenza delle aziende piccole e medie e la scarsa diffusione di servizi;
  • un basso livello di integrazione agro-alimentare-industriale, derivante da un lato dalla scarsa attenzione rivolta dagli operatori agricoli al raggiungimento degli standard posti dalle esigenze della trasformazione, dall'altro dalla inadeguatezza tecnologica ed organizzativa delle strutture di trasformazione rispetto alla domanda di produzioni di qualità;
  • una struttura commerciale inadeguata e limitata da carenze infrastrutturali nel settore dei trasporti.
  • Rispetto a tale quadro dei principali punti di forza e di debolezza, la Regione, attraverso il suo Quadro Comunitario di Sostegno, intende: La situazione del mercato del lavoro assume nelle regioni del Mezzogiorno aspetti particolarmente problematici specie per quanto riguarda i giovani il cui tasso di disoccupazione attualmente supera il 50% con tendenza non inflessiva nel breve periodo.

    Il Patto Territoriale deve costituire uno strumento significativo per il rilancio dell’occupazione e per lo sviluppo locale migliorando la qualità della vita delle popolazioni soprattutto nelle periferie emarginate e degradate in cui si annidano sacche di attività illegali e irregolari che incidono negativamente sull’intero progresso sociale ed economico dell’area del Patto.
     
    L’adeguamento degli strumenti urbanistici alle nuove esigenze infrastrutturali e produttive legate alle iniziative del Patto produrrà sicuramente una maggiore vivibilità territoriale dell’area del patto e contribuirà a mitigare l’attuale divario di sviluppo economico ed infrastrutturale esistente tra le aree costiere e le aree interne. Questa dicotomia che incide profondamente nel tessuto sociale come in quello economico deve trovare la giusta soluzione in un equilibrio e valorizzazione nell’utilizzo integrato del territorio dell’area del patto.

    Analisi settoriale della Provincia di Bari
     

     l’agricoltura Per le caratteristiche della sua agricoltura e per la dotazione di cultura imprenditoriale la Puglia è, in taluni casi, in una posizione dominante in relazione ad alcuni prodotti strategici dell’alimentazione nazionale (come ad esempio per l’uva da tavola, l’olio d’oliva, il pomodoro, la produzione di mandorle,..).

    Anche alcune produzioni agroalimentari sono divenute nel corso dell’ultimo decennio di tutto rilievo, dai prodotti lattiero caseari, alle paste secche alimentari, ai prodotti conservati,..

    C’è da rilevare, tuttavia, l’esistenza di alcuni nodi strutturali nel sistema produttivo agroalimentare reglionale soprattutto riscontrabili nella scarsa integrazione tra le diverse fasi produttive, nei servizi e nella ricerca, nonchè nella modesta presenza delle fasi extragricole a più alto valore aggiunto (commercializzazione, export, servizi, marchi di qualità, ricerca).

    Della superficie agraria utile regionale di circa 1,5 milioni di ettari, 400.000 ricadono nella sola Provincia di Bari, seconda solo a Foggia per utilizzazione agricola del territorio.

    La superficie media delle aziende agricole in Puglia è di circa 4,5 ha con un reddito lordo degli addetti agricoli pari circa al 60% di quello medio ueropeo e di poco inferiore alla media nazionale. L’utilizzazione dei terreni agricoli vede al primo posto i seminativi e le colture legnose agrarie che da sole ipegnano oltre il 50% (370.000 ha) della superficie agraria regionale.

    Oliveto e vigneto sono, insieme ai semintativi, dominanti in termini di utilizzazione di superfici agrarie (20% e 11% rispettivamente) e producono mediamente ogni anno oltre 2 milioni di quintali di olio di oliva e 7 milioni di quintali di uva da tavola portando la produzione agricola pugliese per questi prodotti al primo posto in Italia insieme alla produzione di pomodori, patate primaticce, carciofi, insalate. Al secondo posto si posizionano le produzioni di vino (oltre 8 milioni di quintali prodotto per anno), mandorle (500 tonnellate/anno), frumento duro (9 milioni di tonnellate/anno) e peperoni.

    La competitività del sistema produttivo agricolo in rapporto alla potenzialità di assorbimento del mercato è forte nei settori dei fiori e piante, dell’uva da tavola, delle ciliege e dei carciofi ed è invece, particolarmente debole per l’olio d’oliva extravergine, mandorle e legumi secchi.

    Questa breve descrizione del quadro produttivo del settore agricolo in Puglia fa emergere il significativo valore economico di questo settore nell’economia regionale e pone inderogabli esigenze di ammodernamento e di innovazione delle imprese agricole al fine di aumentare la competitività dei prodotti a livello nazionale ed internazionale.

    E’ necessario attuare interventi tesi a migliorare le produzioni in termini di qualità sia del prodotto (anche attraverso l’adozione di marchi di qualità a difesa delle produzioni tipiche), sia del processo produttivo impiegando adeguatamente le scarse risorse idriche disponibili e mitigando gli effetti ambientali indotti dall’uso di fitofarmaci e altri prodotti chimici.

    Il comparto della trasformazione, conservazione e commercializzazione dei prodotti agricoli deve necesariamente essere potenziato con la disponibilità di servizi e tecnologie innovative in grado di aumentarne il valore aggiunto. L’agroindustria, e in particolare il florovivaismo, con oltre 1500 ha di serre in Puglia, insieme al comparto ittico risultano particolarmente promettenti.

    Alla framentazione del territorio agricolo e alla endemica scarsità di risorse idriche deve farsi fronte con più adeguate tecnice di produzione, anche biologiche, e con infrastrutture e sistemi di gestione ed ottimizzazione della distribuzione dell’acqua.

    La situazione nella provincia di Bari non è difforme rispetto al quadro appena descritto sia in termini di potenzialità del settore agricolo sia in termini di elementi di debolezza. In particolare, il potenziamento delle infrastrutture e dei servizi per l’innovazione tecnologica delle imprese nei comparti oliviniviticolo e delle produzioni controllate in serra sono di vitale importanza per l’economia del settore. Vanno ricercate e stimolate tutte le iniziative miranti alla cooperazione ed integrazione tra gli addetti del settore allo scopo di aumentare la redditivtà delle produzioni agricole riducendo i livelli di intermediazione nella commercializzazione, aumentare la qualità dei prodotti e la capacità di assorbimento degli stessi sui mercati esteri. Lo stimolo all’occupazione nel settore agroindustriale deve interessare soprattutto i giovani in un’ottica innovativa di conduzione dell’impresa agricola.

    E’ essenziale, infine, che proprio all’interno delle attività del Patto Territoriale trovino la giusta collocazione ed integrazione enti qualificati di ricerca e di innovazione tecnologica come l’Università e il Politencico di Bari, lo IAM, e Tecnopolis.

     l'industria L'industria della provincia è caratterizzata da una notevole diversificazione produttiva e contribuisce in modo determinante alla formazione del reddito e dell'occupazione.

    Il panorama dell'industria vede coprire un ruolo leader all'industria meccanica e metallurgica, sia per il numero delle aziende, pari al 29,1% delle industrie presenti, che per il numero di addetti, il 42,7% del totale.

    Il settore è stato caratterizzato negli ultimi anni da una fase espansiva, soprattutto nei comparti legati all'automobile ed all'alta velocità ed all'elettronica, dove consistenti investimenti in tecnologia hanno fatto aumentare gli indici di produttività, ed hanno permesso di ammortizzare i costi delle materie prime importate.

    In base ai consuntivi di produzione relativi ai primi sei mesi del 1996, vi sono segnali di rallentamento e di assestamento sulle posizioni raggiunte. Da segnalare, inoltre che nel 1995-96 importanti aziende meccaniche italiane e straniere hanno deciso di aprire in provincia nuovi stabilimenti, segno questo della crescente capacità del nostro tessuto imprenditoriale di attirare investimenti, grazie all'indotto già esistente.

    Seguono i settori dell'abbigliamento-tessile e delle calzature, che rappresentano complessivamente il 22,8% delle aziende ed il 18,2% degli occupati.

    Il settore calzaturiero sta attraversando una fase di difficoltà dovuta soprattutto alla forte concorrenza dei paesi esteri.

    Le aziende del distretto industriale di Barletta, specializzate nelle calzature per lo sport ed il tempo libero, hanno effettuato recentemente forti investimenti puntando alla diversificazione del prodotto, per conquistare nuove fette di mercato.

    Diverso peso ha, invece, l'industria alimentare, presente con aziende di differente dimensione, che mantiene il terzo posto per consistenza con il 15,3% delle aziende ed il 12,1% degli addetti. Questo settore, che ha registrato un buon andamento ed un buon incremento dei rapporti con l'estero, è ostacolato dalla polverizzazione della produzione, soprattutto in alcuni comparti, come quello caseario, che pure ha confermato un buon andamento produttivo.

    Al quarto posto per numero di aziende il settore del marmo con il 9,8% di aziende ed il 2,5% degli addetti complessivi. L'industria del marmo, concentrata nella zona di Trani, è sempre più rivolta ai mercati esteri (Europa e Medio Oriente e Paesi asiatici) per l'insufficiente apporto della domanda interna, soddisfatta da serie di lavoratori artigianali. Seguono poi l'industria chimica, dei manufatti in plastica e dei fertilizzanti che rappresenta il 6,1% delle aziende ed il 3,8% degli addetti, legno ed arredo col 5,9% delle aziende ed il 7,2% degli addetti, poligrafica ed editoria, con 5,3% delle aziende ed il 4,8% degli addetti.

    L'industria dei manufatti in cemento (2,9% delle aziende ed il 3% degli addetti), quella dei laterizi e vetro (1,7% delle aziende ed il 4% degli occupati), e del cemento, calce e gesso (1% delle aziende e l'1,7% degli addetti) hanno risentito dell'andamento negativo del settore edile, sia nel campo dell'edilizia privata, che in quello delle opere pubbliche.

    La mancata ripresa del settore, dovuta principalmente alla farraginosità delle nuove leggi e regolamenti d'attuazione e all'immobilità dell'iniziativa pubblica rispetto ad esigenze importanti del territorio, ha influenzato negativamente il comparto del settore meccanico, legato all'industria delle costruzioni, stimolando le aziende più grandi a rivolgersi verso il mercato estero.

    L'aumentata propensione all'export delle industrie baresi, è, insieme al processo di modernizzazione intrapreso da molte aziende, il fenomeno che ha maggiormente connotato l'industria della prima metà degli anni 90, in particolare nei settori dell'agroalimentare e del calzaturiero.

    Negli ultimi quattro anni le aziende pugliesi hanno raddoppiato il volume delle esportazioni che è passato da 4,481 miliardi del 91 a 8.800 del 1995. Segno questo del rafforzamento della struttura produttiva locale. Nel 1995 l'export è aumentato in provincia di circa il 38%, ben 8 punti in più rispetto alla media nazionale. Oltre il 44,4% delle aziende manifatturiere baresi presenti nell'annuario, esportano il proprio prodotto, prevalentemente verso l'Europa (il 68,6 U.E. 11,1% Altri Paesi europei), Medio Oriente 5,6% U.S.A., 5,2% più di un terzo delle aziende esportatrici (il 36,6%) esportano oltre il 50% della produzione all'estero.

    Altra importante caratteristica del tessuto produttivo barese, è la diversificazione delle iniziative industriali sul territorio provinciale, anche se alcune aree presentano una maggiore vocazione in alcuni settori come l'agglomerato Bari-Modugno, l'area Putignano-Noci-Castellana-Monopoli, quella di Santeramo in Colle-Altamura ed il polo Trani-Barletta.

     l'artigianato Un milione e trecentomila aziende, in Italia, con 3,1 milioni di posti di lavoro. Questo esercito di artigiani e di imprese artigiane produce il 12% del valore aggiunto totale, anche grazie a una elevata propensione all'export (oltre il 18% delle esportazioni italiane), che non trova confronti in nessun altro Paese europeo.

    Un universo così vasto presenta naturalmente al suo interno delle caratteristiche e delle differenziazioni a volte molto profonde. L'artigianato più forte, dinamico ed efficiente è quello maggiormente radicato nel tessuto sociale, con una presenza consolidata anche attraverso una sostenuta dinamica temporale.

    In Provincia di Bari i settori nei quali predomina l'impresa artigiana sono l'industria meccanica, quella agroalimentare, il tessile-abbigliamento, il calzaturiero e la lavorazione del legno.

    Nella nostra Provincia è particolarmente evidente, nell'agroalimentare, la integrazione tra attività del settore primario e attività industriali.

    Una ulteriore evidenza peculiare della provincia di Bari è la concentrazione di imprese artigiane nel campo delle ceramiche e dei materiali per l'edilizia.

    Infine la filiera dei settori tessile abbigliamento e lavorazione di pelli e cuoio, che costituisce un punto di riferimento del modello di sviluppo della piccola industria italiana, è ben rappresentato anche nella nostra provincia.

    Il nostro artigianato si differenzia da quello delle regioni del Nord-Ovest, dove prevale l'Italia dell'artigianato industriale, ovvero un modello di sviluppo fortemente legato alla presenza dei grandi gruppi industriali, dove la piccola impresa artigiana ha integrato i suoi processi produttivi con quelli della grande impresa, offrendo un importante contributo in termini di qualità e precisione, in primo luogo nel settore meccanico.

    Si sta sviluppando anche, in continuità con l'Italia del modello Adriatico, localizzato in Veneto, Emilia-Romagna, Marche ed Abruzzo, ma proteso anche verso di noi, l'Italia dei distretti industriali e dei sistemi di produzione a grande specializzazione, formati da piccole imprese integrate verticalmente, e dove la componente economico-produttiva si sovrappone spesso e volentieri alla dimensione sociale ed occupazionale. Qui prevalgono gli aspetti di efficienza imprenditoriale e qualità gestionale

    Ma la nostra provincia è anche caratterizzata dall'artigianato diffuso - quello forse maggiormente corrispondente alla visione vecchio stile di questa attività - che non ha legami con le grandi imprese, né gode della "autodifesa" costituita dalle aggregazioni dei distretti.

    Infine, in Provincia di Bari come in gran parte del Sud, si manifesta anche la fascia indifferenziata dell'artigianato debole, più orientato al settore dei servizi che non alla produzione manifatturiera. Anche per questo si registra una propensione dell'imprenditore a investimenti a minor contenuto di capitale, assieme a una maggiore sensibilità nei confronti dell'intervento pubblico.

    E' un'area indubbiamente debole, insomma, verso la quale vanno concentrati i maggiori sforzi di assistenza, formazione, informazione e qualificazione degli operatori. Un ruolo che deve ricevere un sostegno pubblico, ma che deve essere accompagnato da una parallela crescita delle capacità imprenditoriali degli artigiani locali, con un ruolo propulsivo e di regia delle associazioni di categoria.

    Prendere coscienza del fatto che l'azienda artigiana rappresenta più di un terzo delle piccole e medie imprese della Provincia: motore, spesso nascosto, di quell'arcipelago produttivo definito "europeo" di Pmi dal quale dipendono i due terzi della forza lavoro della Provincia.

    La "rete intelligente" del sistema di produzione in Provincia di Bari passa anche attraverso le maglie strette della manifattura artigiana, ma rischia di impigliarsi sul terreno della mancata modernizzazione.

    Bisogna allora riconoscere che investire sulla crescita di questo specialissimo gigante - aggredendo i nodi irrisolti della mancata modernizzazione e di una pubblica amministrazione poco efficiente - significa investire in competitività per l'intero sistema produttivo provinciale.

     il commercio In Italia negli ultimi cinque anni hanno dovuto chiudere 250.000 negozi. Solo nei primi mesi di quest'anno sono spariti oltre 13.000 esercizi commerciali.

    Secondo la Nielsen, entro il Duemila in Italia verranno cancellati 80 mila negozi al dettaglio.

    Colpa del crollo dei consumi e dei supermercati. Ma secondo economisti e rappresentanti di categoria il processo è irreversibile.

    In Puglia, i negozi che hanno chiuso i battenti solo dal 1° gennaio al 31 luglio 1997 sono in totale circa 700, di cui un terzo nel comparto dei generi alimentari.

    Dal 1.o gennaio del '96 ad oggi in Puglia si sono invece aperti in totale circa 220 centri della grande distribuzione, fra cui circa 10 ipermercati, e circa 50 grandi magazzini.

    Nello stesso periodo in Italia si sono aperti circa 6000 centri della grande distribuzione, fra cui circa 230 ipermercati e circa 850 grandi magazzini.

    La caratteristica peculiare di Bari 'città commerciale' non può evidentemente disperdersi per effetto dei meccanismi di puro mercato.

    Allora vanno messe in conto iniziative importanti, a partire dalla ricostruzione di una rete qualificata di superfici medio-piccole, dal sostegno ai consorzi ed al collegamento a gruppi di acquisto, anche premiando con incentivi chi investe in una ridefinizione della propria strategia di impresa.

    Peraltro, se la città rivive, rivivrà anche il commercio: allora il Patto Territoriale di Bari dovrà includere una rivisitazione degli strumenti urbanistici e delle iniziative di riqualificazione del centro storico e zone in degrado.

     il turismo Costituiscono elementi di base ai fini dello sviluppo locale: l’elevato turismo di transito verso il Mediterraneo, le risorse paesaggistiche e climatiche, il notevole patrimonio culturale esistente nell’area del Patto.

    Pur con queste premesse, le debolezze del settore del turismo riguardano soprattutto lo scarso utilizzo delle strutture ricettive rispetto agli standard nazionali, la scarsa valorizzazione del patrimonio culturale (artistico, folcloristico, storico, archeologico), il deterioramento ambientale e un insufficiente sistema dei trasporti.

    Le strutture ricettive della provincia di Bari totalizzano circa 17.000 posti-letto; ricevono ogni anno circa 450.000 clienti, per un totale di circa 1.400.000 pernottamenti (verificare questi dati). Il dato medio di pernottamenti per posto-letto (85) è allineato al dato nazionale. Il Prodotto Interno Lordo a prezzi costanti relativo a tale attività nella Provincia è stimabile in un valore superiore a 250 Miliardi di lire per anno.

    Si tratterebbe di dati sostanzialmente positivi, se non apparisse in tutta la sua gravità il sostanziale sotto-utilizzo del potenziale turistico, rappresentato da una struttura di offerta di ricettività turistica di un ordine di grandezza inferiore al dato medio nazionale: solo 11 posti-letto ogni 1000 abitanti (circa 60 in Italia); solo 15 strutture ricettive ogni 100.000 abitanti (circa 107 in Italia).

    E' evidente che il recupero di una base economica forte per l'intera provincia passa sicuramente attraverso il potenziamento della offerta, unito alla attrazione della domanda di turismo (legato tanto agli affari, quanto alla dimensione congressuale, quanto al transito da e per l'area del Mediterraneo, quanto al tempo libero) con prodotti nuovi, che siano anche in grado di diminuire l'effetto - stagione.

    Sotto questo aspetto, occorre sicuramente ripensare il rapporto fra città e mare, fra città ed hinterland, i rapporti con il Centro-Nord, con l'Europa e con il Mediterraneo, nella molteplice dimensione dei trasporti, della qualità e della sicurezza dell'ambiente e della vita, della cultura e dello sport.

    Senza dimenticare, infine, che il turismo è un tipico settore trainante per una serie di altre attività, dalle costruzioni, al commercio, ai servizi, tanto da fare stimare recentemente, in uno studio promosso dal Dipartimento del Turismo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che almeno un quinto del PIL nazionale è imputabile ad attività direttamente ed indirettamente connesse con il turismo ed il tempo libero.