2.1 Modelli locali di sviluppo

2.1.1. L'articolazione territoriale dell'industria italiana:
sviluppo concentrato - sviluppo diffuso

2.1.2. Un approccio endogeno al fenomeno dello sviluppo
2.1.3. Cos'è un processo di sviluppo locale
2.1.4. I fattori determinanti per l'avvio dello sviluppo locale
2.1.5. Le fasi di sviluppo di un modello locale

Premessa

Negli ultimi anni si è sviluppata un'ampia letteratura a livello internazionale sulle nuove traiettorie territoriali dello sviluppo economico e sui diversi modelli di organizzazione della produzione a livello territoriale.

L'imprevisto fenomeno dello sviluppo industriale nelle regioni relativamente periferiche, si è accompagnato alla progressiva crisi, almeno con riferimento all'occupazione industriale, ma spesso anche alla produzione industriale, delle cosiddette regioni "centrali", delle regioni cioè più sviluppate, ove il processo di sviluppo e trasformazione economica e sociale era stato organizzato attorno al ruolo cruciale delle grandi imprese (G. Garofoli, 1991).

Le nuove modalità di sviluppo delineatesi nel corso degli ultimi anni hanno posto in luce il ruolo fondamentale delle piccole e medie imprese e della imprenditoria locale; si è avuta una valorizzazione delle piccole e piccole-medie città divenute luogo privilegiato della nascita della piccola impresa.

Conseguenza di quest'ampia riflessione è stata da un lato, il superamento del concetto dualistico dello sviluppo basato sull'opposizione del centro alla periferia (talvolta di dipendenza e di funzionalità del secondo termine rispetto al primo) e dall'altro un nuovo concetto di sviluppo, non più riconducibile ad un fenomeno esclusivamente economico, ma principalmente sociale (G. Garofoli, IBIDEM), che "dipende non tanto dal trovare combinazioni ottimali delle risorse e dei fattori di produzione dati, quanto dal suscitare ed utilizzare risorse e capacità nascoste, disperse o malamente utilizzate" (Hirshman, 1958).

2.1.1. L'articolazione territoriale dell'industria italiana:
sviluppo concentrato - sviluppo diffuso

Il sistema economico italiano ha conosciuto dal dopoguerra ad oggi diversi modelli territoriali di sviluppo, che riflettevano diverse concezioni e interpretazioni dello sviluppo. Si è passati da un modello di progressiva concentrazione territoriale della produzione industriale, del reddito e della popolazione ad un modello di diffusione territoriale del processo di sviluppo che, via via, ha interessato le regioni a sviluppo intermedio (G. Garofoli, 1991).

Il primo modello, sviluppatosi negli anni del miracolo economico privilegiava una crescente concentrazione territoriale della produzione nelle aree a maggiore sviluppo industriale. Le caratteristiche dell'innovazione tecnologica (incorporata nei grandi impianti, con soglie minime di produzione), la disponibilità di forza lavoro (i crescenti flussi migratori dalle regioni meridionali garantivano il controllo dal lato della domanda) rappresentavano fattori determinanti dell'organizzazione industriale e rendevano conveniente l'allagamento degli impianti esistenti piuttosto che la costituzione di nuovi impianti e quindi il perseguimento di sempre più elevate economie di scala (Secchi, 1974).

Durante i primi anni '70 tale processo inverte la tendenza verso strategie di decentramento produttivo, alla ricerca di maggiore flessibilità sociale produttiva come risposta alla modificazione dei rapporti di forza nelle grandi imprese nelle aree metropolitane.

La modificazione del modello organizzativo della produzione verso forme redistributive del processo industriale (industrializzazione diffusa), non può essere identificato esclusivamente con i fenomeni di decentramento territoriale della produzione, in quanto il primo è legato principalmente alla nascita di nuova imprenditoria piuttosto che al decentramento produttivo. Il passaggio da un modello all'altro evidenzia come sia cambiato il modo di organizzare la produzione e sulle opportunità offerte dalle piccole dimensioni produttive.

L'articolazione territoriale del sistema industriale italiano subisce una profonda modificazione, tanto da mettere in discussione la dualità dello sviluppo economico italiano. Al pervenire dei fenomeni di crisi nelle aree centrali di forte industrializzazione (uno per tutti, il triangolo industriale), e alla persistenza di aree marginali, si contrappone lo sviluppo di aree periferiche, (centro nord orientali) (Bagnasco, 1977). Si presentano sullo scenario economico una molteplicità di aree con forte vitalità economica che non avevano conosciuto in passato una significativa esperienza industriale.

I connotati più importanti e le novità più rilevanti rispetto alle modalità di sviluppo del periodo precedente, sembrano essere (Garofoli, 1983d):

  • depolarizzazione produttiva, viene meno l'importanza dei tradizionali poli industriali e progressivo sviluppo di nuove aree economiche (Centro-Nord-Est);
  • sviluppo non metropolitano, dovuto al crescere delle diseconomie emerse nell'ambito dei sistemi metropolitani e crescente valorizzazione del capitale fisso sociale sedimentatosi nelle città di piccola dimensione (sistemi di trasporto e di comunicazione, infrastrutture civili, patrimonio edilizio);
  • deindustrializzazione delle aree più sviluppate seguita da un processo di deurbanizzazione che ha portato al blocco della crescita edilizia;
  • delocalizzazione e decentramento territoriale della produzione industriale; il movimento delle imprese ha interessato, da un lato le aree suburbane, quando cresceva la rendita urbana (legata alla modifica delle destinazioni d'uso dell'area metropolitana) e la necessità di disporre di un mercato del lavoro urbano-metropolitano, oltre che mantenere una buona accessibilità ai servizi localizzati nell'area urbana; dall'altro, ha coinvolto le aree periferiche, qualora fossero prioritari la disponibilità e la flessibilità d'uso della forza lavoro e l'utilizzo di altre specifiche condizioni locali (piccola imprenditoria locale per l'avvio di processi di subfornitura, professionalità dei lavoratori);
  • deconcentrazione produttiva, diminuzione delle dimensioni d'impresa e d'impianto, risultato di considerevoli processi di scomposizione dei cicli produttivi, consentiti da un lato, dall'opportunità di estendere la presenza delle piccole imprese sul territorio nazionale e, dall'altro, dall'utilizzazione di nuove tecnologie adattabili alla piccola produzione di scala, così da consentire efficienza produttiva alle piccole imprese;
  • formazione e sviluppo di sistemi produttivi locali, fortemente specializzati e composti da una molteplicità di imprese con fitte interrelazioni infrasettoriali e intersettoriali in un ambito territoriale relativamente ristretto, che sono riusciti ad associare i vantaggi della piccola dimensione (flessibilità produttiva) e quelli della grande dimensione (economie di scala) per l'operare di elevate economie esterne alle imprese ma interne all'area.

 

2.1.2. Un approccio endogeno al fenomeno dello sviluppo

Il ruolo che le variabili endogene assumono all'interno di un processo di sviluppo è stato sottostimato nell'ambito dei modelli interpretativi anche nell'ambito delle scienze regionali. Le teorie di localizzazione ponevano l'enfasi più su fattori di carattere geografico, effetto dell'attribuzione di importanza a elementi quali, distanza, costi di trasporto, allo spazio fisico, in generale.

Anche la stessa impresa veniva considerata in termini di unità astratta, come rappresentativa dell'intera realtà macroeconomica. Venivano ignorate le differenziazioni dei comportamenti delle imprese, che assumevano specifiche forme relazionali all'interno di un determinato ambiente socio-economico.

Inoltre, non veniva posta attenzione sull'intero sistema socio-economico all'interno del quale si avviluppano precise reti di relazioni tra economia-società-istituzioni, capaci di identificare in modo univoco una determinata area.

L'evoluzione dei modelli interpretativi dei processi di sviluppo, conseguenti alla redistribuzione territoriale delle attività produttive, si è spinta sul versante dell'analisi di tali variabili a cavallo tra macroeconomia (lo studio delle variabili chiave del sistema) e la microeconomia (l'analisi dei comportamenti dei vari soggetti pubblici e privati e delle specifiche forme organizzative e strategiche).

L'interesse posto sulle variabili endogene, non tenta di conferire al processo di sviluppo un carattere esclusivamente endogeno, come dire che non vi è sviluppo se non identificabile con fattori endogeni, ma cerca di tracciare una, seppur difficile, linea di demarcazione tra le due famiglie di variabili, attribuendo a ciascuna il ruolo che le compete . La schematizzazione resa necessaria da esigenze interpretative, vuole individuare i limiti e le potenzialità che le politiche imperniate su questi fattori possono esprimere.

Il recente sviluppo e consolidamento di nuove aree di forte vitalità economica nell'ambito dello scenario economico nazionale non va letto in termini restrittivi, cioè frutto del decentramento di capitale da parte di vecchi nuclei di industrializzazione, bensì è il prodotto della valorizzazione delle risorse locali delle aree periferiche, dando così luogo ad uno sviluppo decentrato (Dematteis, 1983).

Il processo di valorizzazione delle risorse locali ha assunto nel modello italiano degli anni '70 un forte connotato endogeno, anche se sollecitati da condizioni esterne favorevoli, queste hanno operato come catalizzatori o condizioni permissive del processo di sviluppo, non ne sono la causa (Becattini, Bianchi, 1982).

I fattori di carattere esogeno determinanti lo sviluppo periferico e la modificazione dell'assetto territoriale dell'apparato industriale italiano negli anni '70, possono essere così riassunti (G. Garofoli, 1991):

  1. la ricerca di una mercato del lavoro più flessibile e con un regime salariale più basso;
  2. ricerca di un mercato fondiario a prezzi più bassi e disponibili per insediamenti industriali;
  3. la ricerca delle condizioni diffuse e della flessibilità tipiche delle aree periferiche (basso costo della forza lavoro legata all'integrazione dei redditi nell'ambito del nucleo familiare allargato, al minor costo degli alloggi; il maggio consenso sociale; l'etica del lavoro e del sacrificio)
  4. in parte, il ruolo assunto dalle politiche di sviluppo regionale (politica delle infrastrutture, facilitazioni per la localizzazione industriale, agevolazioni fiscali e creditizie);
  5. l'accesso alle nuove tecnologie, scorporabili e adattabili ai processi produttivi delle imprese anche di piccole dimensioni (si riduce l'importanza delle economie di scala);
  6. la progressiva crisi dei prodotti standardizzati che ha consentito l'allargamento dell'area delle produzioni specializzate.

Accanto a fattori esogeni è possibile individuare variabili endogene presenti nelle aree di industrializzazione diffusa specifici di particolari formazioni socio-territoriali prevalentemente fondati sui sistemi di piccola impresa, possono essere così schematizzati:

  • ampia articolazione e mobilità sociale;
  • omogeneità dei comportamenti culturali e delle aspettative;
  • elevata presenza di un artigianato locale;
  • ampia quota di lavoratori indipendenti;
  • l'esigenza del riscontro del proprio successo sociale (struttura sociale che premia chi promuove);
  • professionalità dei lavoratori diffusa nell'ambito del sistema locale (tradizione del lavoro specifiche delle diverse subculture locali).

Come altrove ricordato il processo di sviluppo non segue itinerari precisi in ogni area, anzi assume una forte specificità ed è frutto della combinazione di variabili sia esogene che endogene. Ciò apre la strada ad una molteplicità di modelli di sviluppo, ciascuno con tratti peculiari indentificativi.

 

2.1.3. Cos'è un processo di sviluppo locale

I nuovi modelli di organizzazione della produzione su scala territoriale, presentatisi sullo scenario industriale nazionale, hanno spostato l'attenzione degli economisti sul versante dello sviluppo periferico, dell'industrializzazione diffusa con punte di forte provocazione nei riguardi dei paradigmi teorici prevalenti nell'analisi dei rapporti centro-periferia.

L'approccio "territoriale" ( in termini socio-economici) allo sviluppo porta alla definizione di elementi cardini di tale processo nella piena consapevolezza della difficile schematizzazione e catalogazione delle esperienze e dall'impossibilità di proporre soluzioni uguali per ogni area (al percorso obbligato dello sviluppo si contrappone la specificità di un territorio e la non esportabilità di alcune "economie localizzate").

Il processo di sviluppo economico è caratterizzato da trasformazioni, della struttura economica e sociale che si accompagnano ad un aumento del prodotto pro-capite e ad una modificazione delle relazioni economiche con l'esterno.

Si ha sviluppo locale quando l'impatto sulla comunità locale del processo di trasformazione assume caratteristiche ben definite e sufficientemente differenziate rispetto alle aree vicine.

E' capacità di coinvolgere gruppi sociali, precedentemente esclusi dal processo di produzione e di distribuzione del prodotto sociale; è capacità di migliorare la produttività e le tecniche di gruppi di lavoro; è infine, capacità di diffondere le informazioni.

Il processo di sviluppo non è un problema "ingegneristico", risolvibile attraverso la combinazione meccanica di alcuni elementi economici ma è principalmente sociale.

In sintesi: "Lo sviluppo dipende non tanto dal trovare le combinazioni ottimali delle risorse e dei fattori di produzione dati, quanto dal suscitare ed utilizzare risorse e capacità nascoste, disperse e male utilizzate" (A. 0. Hirschman., 1958).

Tale mutamento prospettico dispiega i suoi effetti anche in relazione al concetto di spazio, concepito non solo come distanza tra luoghi, come vincolo allo scambio, sorgente di costo, ma fattore strategico delle opportunità di sviluppo, infine come "territorio". Questa nuova concezione considera il territorio come un ispessimento di relazioni sociali, il luogo ove si sono sedimentate la cultura locale e altre specificità locali non trasferibili, è il luogo dei rapporti tra gli uomini e le imprese, è il luogo dell'intervento pubblico e delle istituzioni locali (G. Garofoli, 1991).

Un'altra implicazione che scaturisce da tale impostazione riguarda le relazioni esistenti tra imprese e ambiente, che è alla base dell'esistenza di economie esterne all'impresa, ma interne all'area. Nasce quindi una visione di "sistema di imprese" caratterizzata da un reticolo di rapporti di scambio, di merci e di informazioni, che agevola l'interdipendenza produttiva e l'allungamento della filiera produttiva in loco attraverso una crescente divisione del lavoro e rapporti di collaborazione che consentono la diffusione delle innovazioni (di processo e di prodotto), delle tecniche organizzative-manageriali, delle informazioni sui mercati di sbocco, ecc...

Analizzando più da vicino il processo di sviluppo, si possono delineare i primi tratti identificativi e le variabili determinanti.

Il processo di trasformazione dell'economia e della società locale può innescarsi come conseguenza di almeno tre gruppi di fenomeni:

  • Fattori locali che mettono in moto un processo di trasformazione dell'economia locale (nascita di nuove imprenditorie);

  • Fattori esterni che incidono sulla struttura produttiva e sociale locale in seguito a localizzazione di nuovi impianti produttivi appartenenti ad imprese esterne;

  • Reazioni a mutamenti esterni (tecnologia, organizzativi) con progetti di sviluppo locale, con processo di valorizzazione delle risorse locali.

Il primo ed il terzo caso rappresentano processi di sviluppo endogeno e autocentrato, con possibilità di controllo del processo di sviluppo da parte delle forze economiche e sociali; il secondo caso rappresenta un processo determinato esogenamente sulla base di differenziali di costo di produzione.

Lo stretto interagire, nel corso dello sviluppo di un'area tra fattori di sviluppo endogeni ed esogeni, combinato con le conseguenze di politiche economiche indifferenziate, comporta comunque trasformazioni nella struttura socio-economica locale che difficilmente potrebbero essere interpretati come eventuali stadi di un unico processo di sviluppo. Sembra più corretto affermare l'esistenza di una pluralità di modelli di sviluppo e che non sia possibile parlare di modelli astrattamente definiti, applicabili in modo indifferenziato all'interno delle variegate strutture socio-economiche.

Ma in che modo può innescarsi un processo di sviluppo, o meglio quali sono le variabili strategiche che ne sono alla base. Prima di individuare tali fattori cruciali è opportuno tracciare una prima linea di demarcazione all'interno della tipologia dei modelli di sviluppo locale tra quelli exrtavertiti (dipendenti da decisioni assunte all'esterno dell'area) e autocentrato (basati su variabili controllate all'interno dell'area).

E possibile quindi parlare di modelli all'interno dei quali assumono maggior peso variabili esogene e altri in cui le endogene sono prevalenti o esclusive. Nell'ambito di queste ultime diversi sono i processi di trasformazione socio-economica e i tempi del processo industriale.

Possiamo parlare, quindi di:

Modelli di sviluppo endogeno (autocentrato)

E' basato sulla valorizzazione di risorse locali ed è guidato da attori pubblici e privati locali (es.: distretti industriali di pmi).

In specie:

  • utilizzazione di risorse locali (lavoro, capitale sociale, imprenditoria conoscenze specifiche sui processi di produzione, professionalità specifiche, risorse materiali);

  • capacità di controllo a livello locale del processo di accumulazione;

  • controllo della capacità d'innovazione

  • esistenza di interdipendenze produttive sia infrasettoriale che intersettoriale;

Modelli di sviluppo esogeno (extravertito)

E' attivato da un flusso di risorse esterne che incidono profondamente sulla struttura produttiva e sociale locale ed è caratterizzato dalla collocazione dei centri decisionali e strategici all'esterno dell'area locale (es.: poli di sviluppo industriale).

 

2.1.3.1 Le variabili da focalizzare

Ad un livello di analisi più approfondito e sulla base delle esperienze empiriche si possono indicare le variabili cruciali, che per la loro combinazione potrebbero individuare diverse modalità di organizzazione della produzione nonché i processi di cambiamenti registrabili all'interno dei sistemi economici:

  1. struttura produttiva e grado di specializzazione dell'economia locale (monocoltura vs. diversificazione produttiva);
  2. struttura dimensionale delle imprese (Grande Impresa vs. piccola impresa);
  3. provenienza imprenditore (imprenditore locale vs. imprenditoria esterna);
  4. provenienza capitale (locale/esterna) e settore dell'accumulazione originaria;
  5. interdipendenze produttive (interne all'area/esterne);
  6. sbocco prevalente di mercato (mercato locale-regionale vs. mercato nazionale-internazionale);
  7. formazione di nuove imprese (alti tassi di natalità/bassi tassi di natalità);
  8. struttura occupazionale (quota dei lavoratori alle dipendenze e articolazione della struttura professionale);
  9. provenienza dei lavoratori (locale/esterna) e luogo della formazione professionale e della trasmissione delle conoscenze professionali;
  10. circolazione delle informazioni (esistenza/assenza di un efficiente sistema di circolazione delle informazioni a livello locale);
  11. introduzione e diffusione dell'innovazione tecnologica (innovazione tecnologica introdotta localmente vs. "importazione" di tecnologia dall'esterno);
  12. struttura sociale e precedenti rapporti di produzione (prevalenza di lavoro autonomo piuttosto che di lavoro salariato in agricoltura e negli altri settori nella fase antecedente allo sviluppo);
  13. struttura territoriale (rapporto dicotomico città-campagna contrapposto ad un fitto tessuto di piccole-medie città strettamente collegate e sistema delle infrastrutture di comunicazione);
  14. istituzioni locali (presenza/assenza di specifiche istituzioni locali che hanno favorito, o almeno caratterizzato, il processo di sviluppo locale);
  15. politiche economiche locali (presenza/assenza di specifiche politiche di intervento economico a livello locale).
  16. dinamica dell'occupazione (dell'occupazione totale, dell'industria manifatturiera e dei settori di specializzazione produttiva);
  17. dinamica demografica (specie con riferimento alla dinamica migratoria).

 

2.1.3.2 Una tipologia dei modelli locali di sviluppo

Attraverso la combinazione dei fattori sopra elencati è possibile individuare una tipologia di modelli locali di sviluppo, così articolata (G. Garofoli, 1991):

  1. aree fortemente industrializzate e basate sulla presenza di grandi imprese
  2. a. basate su imprenditoria locale (e capitale prevalentemente locale)
    b. basate su imprenditoria esterna (e capitale prevalentemente esterno)

  3. Aree di relativa deindustrializzazione con compensazione terziaria
  4. Aree di deindustrializzazione in crisi
  5. a. aree di grande impresa, spesso con struttura produttiva monoculturale
    b. aree con struttura produttiva sufficientemente diversificata

  6. Sistemi di piccola impresa in consolidamento
  7. Aree di sviluppo industriale intensivo
  8. a. sistemi di piccola impresa a sviluppo estensivo
    b. aree di industrializzazione diffusa

  9. Aree di recente valorizzazione industriale
  10. a. aree di rilocalizzazione industriale
    b. aree di decentramento territoriale della produzione
    c. aree di sviluppo endogeno basate su piccola imprenditoria locale

  11. Aree di valorizzazione extra-industriale
  12. a. aree turistiche
    b. aree di agricoltura intensiva
    c. aree di agricoltura "ricca" (di agricoltura estensiva)
    d. aree commerciali

  13. Aree con insufficiente sviluppo industriale
  14. Aree marginali

 

2.1.4. I fattori determinanti per l'avvio dello sviluppo locale

E' importante riflettere sui fattori determinanti dell'avvio di un processo di sviluppo locale, poiché pongono in evidenza il peso che tali variabili sono in grado di esercitare e le possibilità di sviluppo dei modelli basati su essi. Una delle condizioni per innescare un processo di questo tipo è la disponibilità di almeno due fattori:

  • L'esistenza di capacità organizzativa-imprenditoriale;

  • L'accumulazione di conoscenze e di attitudini sociali incorporate nella popolazione locale.

Il primo fattore può essere importato dall'esterno attraverso la localizzazione nelle aree d'impianti appartenenti ad imprese esterne e con la costituzione di impianti non autonomi dal punto di vista tecnologico, costituiti sulla base di commesse di lavorazione nell'ambito di strategie di decentramento territoriale della produzione; in questo caso il modello di sviluppo assume connotati di tipo esogeno.

Il secondo fattore interagisce con il primo, essendo uno degli elementi costitutivi della nascita delle nuove imprese e comprova la presenza di specifiche professionalità e competenze.

Nella formazione di nuove imprese sono identificabili anche altri fattori alla base di tale processo:

  1. conoscenza del processo produttivo e delle tecniche organizzative-gestionali;

  2. conoscenza dei potenziali mercati di sbocco;

  3. esistenza di professionalità e di competenze specifiche sul mercato del lavoro locale;

  4. disponibilità di capitale.

L'attenzione può essere focalizzata sui primi tre fattori, presenti diffusamente nelle aree industrializzate caratterizzate da "ispessimenti localizzativi" di imprese. In tali aree le conoscenze dei processi produttivi, dei mercati di sbocco e le professionalità dei lavoratori sono frutto della prossimità fisica degli operatori, dall'accumulazione di conoscenze nel bagaglio professionale dei lavoratori alle dipendenze delle piccole e medie imprese, dei bassi costi di transazione (costi generati da una transazione economica, in termini di ambiguità/incertezza dell'esito di un operazione, che comporta costi di acquisizione di informazione circa l'affidabilità di un committente o fornitore - sulle qualità dei prodotti, dei processi, sull'affidabilità morale e finanziaria) tra le imprese...

Mentre, risultano ampiamente diffusi nelle aree basate sui sistemi di piccole e medie imprese, questi fattori difettano nelle aree marginali, che non hanno vissuto significative esperienze industriali. Le strutture economiche di queste ultime sono generalmente organizzate a partire da specializzazioni produttive acquisite nel passato, con una trasformazione di lavorazioni artigianali e un progressivo allungamento della filiera produttiva, verso produzioni a valle (filiera agro-industriale) o a monte (introduzione di specifiche macchine). Spesso tali fattori non sorgono spontaneamente, ma necessitano di apposite politiche di avvio di nuove iniziative imprenditoriali.

 

2.1.5. Le fasi di sviluppo di un modello locale

Come altrove accennato, non esiste alcuna legge obbligata che prevede il passaggio da un modello di sviluppo all'altro o ciclo di vita dello sviluppo locale. La riflessione sulle caratteristiche comuni a molteplici modelli di sviluppo locale di tipo endogeno, può essere utile ad individuare il ruolo, le dinamiche, e il peso che talune variabili esercitano all'interno. Questo tipo di analisi mette in luce le interdipendenze che sussistono all'interno del modello e le opportunità che scaturiscono dalla combinazione delle stesse, nonché quali fattori sono estrapolabili e in qualche modo esportabili nelle aree in deficit di sviluppo.

I modelli sperimentati prevalentemente basati sulla presenza della piccola e media impresa locale presentano precise modalità e fasi del processo di sviluppo:

  1. Formazione di un primo nucleo di imprese, (da attività tradizionale dell'area, da imprese dell'area o anche esterne);
  2. Aumento delle opportunità di mercato e crescita interna di questo primo nucleo di imprese: aumento del fatturato, dell'occupazione, degli investimenti.
  3. Allargamento del numero di imprese e creazione di un "network" tra queste, che facilita le interdipendenze produttive e l'allungamento della filiera produttiva, attraverso una sempre più marcata divisione del lavoro e rapporti di collaborazione tra le imprese, che consentono la diffusione delle innovazioni e delle informazioni; ciò garantisce un aumento di produttività delle singole imprese e del sistema locale nel suo complesso;
  4. Costituzione di un sistema complesso di imprese locali, e all'aumento della produttività fa seguito: a) la crescente apertura sui mercati extraregionali e internazionali; la costituzione di un comparto che produce macchine per la lavorazione dei prodotti tipici dell'area e l'introduzione a livello locale di innovazioni di processo e di prodotto;
  5. Si sviluppano le funzioni di controllo e i servizi pregiati alla produzione; il sistema locale ha valorizzato le proprie risorse e il processo di trasformazione e l'evoluzione dell'economia locale è interamente controllabile dall'interno;
  6. Eventuale necessità di sviluppare capacità strategiche e di progettazione a livello locale per garantire al sistema la capacità di cogliere le opportunità del mercato, con appropriati strumenti di intervento a livello sovraziendale; necessità di coordinare a livello locale iniziative di soggetti pubblici e privati;

 

2.2 Le politiche di sviluppo locale

2.2.1. L'evoluzione dei modelli teorici tradizionali
2.2.2. Le politiche di intervento

Premessa

La riflessione compiuta dagli studiosi sui fenomeni di ristrutturazione che hanno interessato il sistema industriale italiano tra gli anni '70 - '80 e sulle diverse forme di articolazione territoriale della produzione ha messo in luce l'emergere di sentieri e tipologie di sviluppo basati su processi di trasformazione socio-economici differenziati tra di loro, all'interno dei quali le "specificità locali" divenivano i fattori determinanti di tale differenziazione.

La spinta verso l'analisi e la comprensione di questi nuovi modelli di sviluppo veniva impressa, da un lato, dall'insorgere della crisi della grande impresa e di alcune aree di sviluppo maturo, e dall'altro dalle difficoltà incontrate nelle politiche di intervento a favore delle aree svantaggiate, definite all'esterno delle aree interessate. Tutto ciò induceva a rivedere i passati paradigmi teorici e focalizzare l'attenzione su:

  • I fattori causali dello sviluppo locale;
  • I processi di formazione di nuove imprese;
  • L'introduzione e la diffusione di innovazioni
  • Gli ostacoli allo sviluppo locale (insufficienza di capacità organizzative-imprenditoriali, carenza di servizi strategici per le imprese, insufficiente qualificazione dei lavoratori,...);
  • Le politiche di intervento locale e il ruolo delle istituzioni locali nella predisposizione di progetti di trasformazione dell'economia locale e di forme specifiche di "regolazione sociale". (Garofoli, Cappellin, 1988).

Le politiche di sviluppo assumono un forte connotato socio-economico, all'interno delle quali le specificità locali imprimono a queste la necessità di forme di autogoverno dei processi di sviluppo ritagliati sulle caratteristiche dell'area di riferimento. Cruciale diviene il coinvolgimento dei governi locali, delle forze sociali e delle istituzioni operanti sul territorio, necessario a garantire coerenza tra obiettivi, strumenti e capacità di gestione. Da tale premessa scaturisce l'impossibilità di una politica disegnata a livello centrale che possa cogliere l'elevata differenziazione dei processi di trasformazione socio-economica di un'area.

 

2.2.1. L'evoluzione dei modelli teorici tradizionali

Le politiche regionali che in passato venivano applicate riproducevano in scala locale la struttura dei modelli di riferimenti adottati a livello nazionale. Tali modelli prendevano le mosse da un concetto di sviluppo ancorato all'idea di un unico processo di crescita che si ripete nel tempo e nello spazio. Di qui la necessità di accelerare il processo di riduzione del gap di sviluppo attraverso l'emulazione e l'inseguimento delle aree e delle regioni più sviluppate.

Il passo successivo di tale impostazione non poteva che essere la predisposizione a livello centrale di misure di intervento acriticamente definite e "calate dall'alto" su strutture socio-economiche profondamente diverse. Aree con strutture socio-produttive diverse, con storia e tradizioni diverse, divenivano oggetto di una indifferenziata politica d'intervento.

L'assetto industriale "moderno" che si intendeva realizzare (capital intensive) si sovrapponeva ai vecchi settori produttivi, che venivano lasciati decadere. Durante gli anni della rapida crescita economica ('50 - '60) il divario tra aree sviluppate e arre marginali tendeva all'ampliamento e di fronte alla presenza di flussi di capitale e lavoro (determinati dalle forse di mercato) verso le regioni più sviluppate, le politiche regionali si ponevano come obiettivo l'inversione dei flussi a favore delle aree svantaggiate.

A questo fine vennero adottate misure molto diverse: di tipo indiretto, come le politiche di infrastrutturazione e dei sussidi alla localizzazione degli investimenti, o politiche di tipo indiretto, basate sugli investimenti delle industrie a partecipazione statale, sulla crescita dell'occupazione nell'amministrazione pubblica e sugli accordi di programma e sui vincoli amministrativi rispetto agli investimenti dei grandi gruppi privati. (Garofoli, Cappellin, 1988)

I risultati ottenuti attraverso l'utilizzo di tali strumenti furono del tutto insoddisfacenti e inferiori rispetto alle aspettative attese e alle risorse finanziarie utilizzate. Gli indirizzi della politica economica dello Stato dalla prima metà degli anni '70 in poi, favorirono l'utilizzo di strumenti congiunturali comportando tagli vistosi alla spesa pubblica in conto capitale (anche per investimenti nel Mezzogiorno) e soprattutto entrarono in crisi le prospettive di intervento per lo sviluppo del Mezzogiorno.

L'intervento dello stato assumeva sempre più i connotati dell'intervento "assistenziale" attraverso il mantenimento dei flussi di spesa di parte corrente e lo sviluppo dell'occupazione nei servizi non vendibili.

 

2.2.2. Le politiche di intervento

L'analisi dei vari scenari economici disegnabili attraverso un politica d'intervento può essere utile per focalizzare l'attenzione sull'importanza di determinate variabili e sui limiti e le opportunità che ne scaturiscono dalla loro combinazione strategica. Il perseguimento di una politica di sviluppo locale solleva alcune considerazioni determinanti circa l'opportunità di scegliere alcuni sentieri di sviluppo anziché altri. In primo luogo è possibile schematizzare i diversi itinerari di sviluppo attraverso la contrapposizione di alcune variabili strategiche:

  • sviluppo endogeno / sviluppo esogeno;
  • imprenditoria locale / imprenditoria esterna;
  • grandi imprese / piccole imprese;
  • struttura produttiva monoculturale / struttura produttiva diversificata;
  • settori moderni / settori tradizionali;
  • mercato locale / mercato nazionale-internazionale.

Una politica di sviluppo locale è maggiormente efficace quando gli interventi che la supportano agiscono su variabili controllabili all'interno del sistema e quando la struttura produttiva è basata su imprese di piccola dimensione. Inoltre, essa dipende dal grado di integrazione produttiva, dalla capacità (e velocità) di circolazione delle informazioni e dalle sinergie esistenti all'interno del sistema economico, oltre che dal grado di coesione socio-culturale, dal livello di autoidentificazione della comunità e dalla consolidata presenza di specifiche istituzioni locali (ibidem).

Difficilmente il processo di trasformazione socio-economico di un'area può essere governato dall'interno, quando poggia sulla capacità di attrazione delle imprese esterne. Ciò non esclude che nella fase iniziale il processo di sviluppo può essere avviato dall'ingresso di imprenditori esterni che garantiscono la diffusione di fattori determinanti quali le tecniche organizzativo-gestionali, tecniche produttive, innovazioni di processo e di prodotto, più in generale cultura di organizzazione d'impresa.

Anche il trasferimento di tali conoscenze non è automatico, ma va sollecitato attraverso una politica d'intervento mirata. Quanto più gli interventi mirano alla valorizzazione delle risorse locali, non solo in termini economici, ma soprattutto in termini di capitale "sociale", tanto più il processo di sviluppo locale e le sue dinamiche evolutive sono governabili dall'interno.

La politica di intervento può essere efficacemente predisposta soltanto nell'ambito del sistema locale, anche se dopo un approfondito confronto tra le forze sociali e le istituzioni locali da un lato e con i livelli superiori del governo pubblico dell'economia dall'altro: solo in questo caso gli obiettivi e gli strumenti da utilizzare potranno essere individuati coerentemente alle esigenze del sistema socio-economico locale. E' evidente che il ruolo prioritario è svolto dalle autorità pubbliche locali indirizzato prevalentemente allo studio e alla promozione degli interventi economici seguendo alcuni criteri generali della progettazione dello sviluppo locale:

  1. un puntuale censimento e monitoraggio delle risorse locali;

  2. un'analisi dei punti di forza debolezza, opportunità e minacce del sistema locale;

  3. l'individuazione di obiettivi di sviluppo del sistema locale ed una loro articolazione;

  4. la definizione di una strategia e di un piano di azione articolato in interventi connessi agli obiettivi e capaci di attivare e mettere a valore risorse già esistenti o di attrarne di nuove;

  5. la predisposizione di un sistema di valutazione ex ante, in itinere ed ex post delle iniziative in grado di verificare il contributo (ipotizzato ed effettivo) al raggiungimento degli obiettivi e la possibilità di adeguamento in progress dell'assegnazione delle risorse;

 

2.2.2.1 L'analisi del contesto socio-economico

Un primo passo fondamentale per approntare un'appropriata politica di sviluppo è quello di analizzare e interpretare le informazioni circa la struttura produttiva e le trasformazioni della realtà economica, con particolare riferimento a:

  • formazione di nuove e caratteri della nuova imprenditoria
  • domanda di lavoro e professioni emergenti (con possibili ricadute sulla capacità di formazione)

Per poter disporre di aggiornate informazioni risulta strategico la costituzione di una struttura di monitoraggio sull'economia locale, capace di osservare la realtà economica sotto la duplice valenza, quantitativa e qualitativa. Ciò può essere realizzato attraverso la creazione di strutture miste, pubbliche e private attraverso la partecipazione delle istituzioni e delle forze sociali: enti locali, Camere di Commercio, banche locali, associazioni di categoria, sindacati...

L'utilizzo di una struttura di monitoraggio consentirebbe di ovviare ai ritardi con i quali i dati statistici divengono disponibili per i censimenti dell'industria e della popolazione, nonché di effettuare indagini e ricerche all'intero delle diverse tipologie produttive. Inoltre, potrebbero essere valorizzati i dati a disposizione delle Camere di Commercio relativi all'andamento demografico delle imprese, necessarie basi di partenza per l'organizzazione dell'osservatorio.

A tal fine sembra particolarmente opportuno

  • sviluppare la metodologia di ricerca economica locale;
  • migliorare l'utilizzazione delle fonti statistiche locali;
  • omogeneizzare la metodologia di raccolta e di elaborazione dati per stimolare l'analisi comparata a livello territoriale.

Particolare attenzione va posta sull'andamento dei tassi di natalità/mortalità, attraverso l'utilizzo di dati a disposizione delle Camere di Commercio, poco utilizzati (relativi alla nati-mortalità costruibile attraverso i dati raccolti dall'ente nell'attività istituzionale di registrazione/certificazione delle unità produttive locali).

I tassi di nati-mortalità congiuntamente all'analisi delle caratteristiche dell'imprenditoria locale (attraverso studi mirati dei diversi sistemi produttivi locali, di cui si compone un'area - si pensi alle indagini effettuate attraverso l'elaborazione di questionari da sottoporre agli imprenditori, che consentano di conoscere le caratteristiche strutturali della classe imprenditoriale (i problemi relativi all'innovazione tecnologica, la domanda di servizi, di formazione, di organizzazione-gestione…), una sorta di identificazione dei tratti peculiari e delle dinamiche evolutive - ) consentono di avere un quadro preciso dello scenario di riferimento sul quale si intende intervenire e tracciare in modo appropriato interventi di job creation (l'opportunità di individuare le funzioni produttive con maggiori opportunità di successo, individuare i vuoti della matrice produttiva locale, iniziative tra le imprese per il soddisfacimento di bisogni comuni) o, comunque, per iniziative per lo sviluppo e il rafforzamento delle attività produttive locali.

 

2.2.2.2 Punti di forza e elementi di debolezza

Una volta definito lo scenario produttivo nei suoi tratti socio-economici è possibile individuare i punti di forza e gli elementi di debolezza, in modo tale da approntare misure/interventi capaci di rimuovere gli ostacoli strutturali e valorizzare a pieno le risorse locali.

L'individuazione degli elementi specifici di un'area non si identifica esclusivamente con la definizione dei settori produttivi su cui intervenire, ma sulle variabili strategiche che giocano un ruolo chiave all'interno dei vari sistemi. Allora è importante porre attenzione su aspetti non solo di natura economica ma anche sociale. In breve bisogna osservare l'andamento di alcuni fattori, quali:

  1. l'esistenza di capacità organizzativa-imprenditoriale;
  2. il livello di produttività delle risorse produttive locali;
  3. il grado d'innovazione tecnologica;
  4. il rapporto con i mercati di sbocco;
  5. il grado di terziarizzazione dell'economia locale;
  6. i livelli di dotazione infrastrutturale;
  7. i rapporti tra le imprese, le eventuali interrelazioni produttive (rapporti di subfornitura) e informative;
  8. le interrelazioni tra il sistema produttivo e il sistema socio-politico-istituzionale;
  9. esistenza di professionalità e di competenze tecniche specifiche sul mercato del lavoro locale;
  10. l'accesso alle risorse finanziarie.

L'identificazione del comportamento di tali variabili permette un'adeguata definizione della matrice identificativa del sistema locale e dei "bisogni" espliciti ed impliciti, aprendo lo scenario degli interventi ad una variegata gamma di azioni, sulla base delle priorità assegnate.

 

2.2.2.3 L'individuazione degli obiettivi

Una volta analizzata ed interpretata la struttura socio-economica nel suo complesso, individuati i tratti essenziali che identificano il sistema di riferimento, il successivo passo logico riguarda l'individuazione degli obiettivi, la loro scala di priorità e le interconnessioni tra gli stessi.

La determinazione degli obiettivi intermedi deve essere effettuata in modo coerente con l'obiettivo principale esplicitato, tenuto conto dei tempi "previsionali" e del loro percorso di "formazione".

La scala degli obiettivi e la distinzione tra breve e medio/lungo periodo, permettono di riflettere non solo sui risultati attesi nell'immediato, ma valutare gli scenari futuri a cui il sistema si espone per effetto degli interventi di politica di sviluppo adottati.

Il problema del breve e lungo periodo non è da sottovalutare, proprio perché molti interventi di politica economica nazionali posti in essere nel passato, hanno mostrato scarsa capacità programmatica di lungo periodo, conseguendo, talvolta, risultati inferiori a quelli attesi.

Inoltre, il rischio che attualmente si corre, soprattutto nelle regioni meridionali, in cui minore è stata la capacità progettuale, è quello di adottare interventi di breve periodo (per risolvere i problema dell'incidenza della disoccupazione) senza valutare gli effetti nel medio lungo periodo, segnando in modo preciso la futura evoluzione del sistema economico.

Si pensi ad un uso distorto del contratto d'area. Se la politica che è alla base della sua formulazione è esclusivamente basata sull'abbassamento del costo dei “fattori” (in primis, il costo del lavoro), per accrescere la capacità di attrazione dell'area e non si interviene sul reticolo delle interdipendenze (legando le imprese esterne alle imprese locali), le imprese esterne potrebbero sempre trovare in futuro aree capaci di offrire maggiori vantaggi localizzativi (Est europeo).

Sulla base della matrice dei bisogni espressa da una determinata area è possibile stabilire degli obiettivi specifici, utili al raggiungimento della valorizzazione delle risorse esistenti, soprattutto all'interno di economie basate sulla presenza di piccole e medie imprese.

Il processo di sviluppo deve passare necessariamente attraverso la crescita da un lato, delle imprese esistenti (rafforzando la capacità innovativa, il grado di controllo del mercato, l'organizzazione manageriale...) dall'altro attraverso la continua formazione di nuove imprese. Quest'ultimo assume un peso notevole, divenendo obiettivo prioritario nelle aree in ritardo di sviluppo, al quale vanno correlati gli obiettivi (non meno importanti) e interventi che mirano alla creazione di un "sistema di imprese" (capaci di garantire la crescita non solo quantitativa ma anche qualitativa).

Nel caso in cui l'obiettivo prioritario è quello del consolidamento del sistema produttivo locale, è necessario adottare politiche coerenti con le trasformazioni e ai problemi del sistema locale. È allora possibile schematizzare e articolare gli obiettivi specifici nel seguente modo (G. Garofoli, 1991):

  • valorizzare le economie esterne del sistema integrato nell'ambito locale, attraverso opportuni interventi sul reticolo delle interdipendenze;
  • promuovere lo sviluppo della produttività delle risorse locali esistenti;
  • promuovere l'innovazione tecnologica in sede locale e facilitare il trasferimento di conoscenze tecnico-scientifiche in applicazioni concrete del sistema locale (specie quando esista un comparto produttore di macchine in ambito locale);
  • incentivare e migliorare il rapporto diretto con il mercato finale;
  • promuovere lo sviluppo della "terziarizzazione" dell'economia locale per quanto i servizi strettamente integrati con il momento produttivo (servizi alle imprese)
  • accentuare l'attenzione verso l'esterno (attenzione all'evoluzione del mercato, ai cambiamenti delle strategie commerciali e finanziarie e delle tecniche adottate nelle altre aree concorrenti, soprattutto all'estero);
  • razionalizzare, eventualmente completare, la dotazione infrastrutturale del sistema;
  • aumentare il grado di circolazione delle informazioni sia per i problemi specifici del sistema produttivo sia le interrelazioni con il sistema socio-politico-istituzionale;
  • accrescere il livello della cultura economica nell'ambito del sistema locale;
  • favorire il superamento dell'individualismo aziendalistico per costruire momenti di "solidarietà" e di collaborazione interaziendale che contribuiscano a rafforzare il sistema nel suo insieme e rifluiscano a vantaggio delle singole unità produttive.

Qualora gli interventi riguardino aree insufficientemente sviluppate/industrializzate l'obiettivo prioritario è quello di crescita della "massa critica produttiva" e il consolidamento delle imprese esistenti. Si potrebbero schematizzare in questo modo:

  • promuovere la nascita di nuova imprenditoria, attraverso politiche che promuovano l'attività di formazione di capitale umano, di capacità organizzativa-manageriale e di "cultura industriale";
  • riduzione delle diseconomie esterne (talvolta, non sempre, risulta necessario completare interventi infrastrutturali, in alcuni casi, le aree destinate agli insediamenti produttivi non sono adeguatamente dotati dei servizi essenziali (strade, numerazione civica, discontinuità nell'erogazione dell'energia elettrica) ;
  • migliorare il grado la qualità e la diffusione delle economie esterne, attraverso la "costruzione/rafforzamento" del reticolo delle interdipendenze produttive e informative per creare una logica di sistema tra le imprese esistenti e tra queste le neoimprese (questo garantisce alle imprese una maggiore circolazione delle informazioni circa i potenziali mercati di sbocco, le innovazioni di processo e di prodotto, le tecniche organizzativo-gestionali; facilita i processi di divisione del lavoro e di specializzazione produttiva);
  • aumentare il grado di trasparenza del sistema garantendo una rapida circolazione delle informazioni circa le opportunità offerte dal mercato e i sostegni economici offerti dalle normative esistenti;
  • promozione della domanda di innovazione tecnologica ed una crescita complessiva del sapere della comunità locale;
  • promozione della domanda di servizi reali (progettazione, marketing, pubblicità, qualità aziendale e delle produzioni..., consulenza aziendale in genere);

Gli strumenti utilizzabili per il raggiungimento degli obiettivi:

  1. installazione di infrastrutture di ricerca e di documentazione, capaci di diffondere informazioni e di instaurare canali di collaborazione con le esperienze di altre aree e regioni;
  2. creazione di consorzi non solo di commercializzazione, ma anche per l'acquisto delle materie prime, promozione delle vendite (è possibile ipotizzare anche una funzione di garanzia fidi e di formazione professionale);
  3. creazione di strutture sovraziendali in grado di promuovere la qualità dei prodotti a livello di area, in modo da valorizzare pienamente le risorse locali;
  4. creazione di centri di servizi reali alle imprese in particolare quelli strategici (progettazione, marketing, pubblicità, consulenza aziendale in genere). È necessario prioritariamente incentivare sia la crescita della domanda di servizi presso le imprese che contemporaneamente, la formazione in sede locale di strutture consulenziali e di servizi alle imprese (sembra più ipotizzabile una struttura pubblica, almeno inizialmente). Un centro servizi (a partecipazione mista, pubblica e privata), come forma organizzativa è necessario in quanto deve svolgere una dinamica attività promozionale per la crescita della domanda di servizi pregiati, poiché nell'ambito di strutture industriali insufficientemente sviluppate, questa è latente. Se la domanda dei servizi reali si sviluppa adeguatamente, il costo di accesso sarebbe meno incisivo. Obiettivi comuni ai centri servizi, differenziati in base alle esigenze del territorio, sono:

  • esplicitazione della domanda potenziale (latente) di servizi alla produzione da parte delle imprese locali;
  • acquisizione di informazioni sulla domanda di servizi da parte delle imprese locali per individuare le eventuali carenze dal lato dell'offerta e quindi facilitare l'avvio di strutture consulenziali sul piano locale;

  1. Costruzione di un sistema di formazione professionale che tenga conto delle esigenze delle imprese locali e delle vocazioni del territorio;

 

2.2.2.4 La valutazione degli interventi

Particolare attenzione va posta sui meccanismi di valutazione degli interventi, in quanto l'utilizzo di indicatori valutativi inadeguati, o di breve raggio potrebbero sovrastimare i risultati conseguiti. Gli attuali indirizzi di politica industriale in ambito nazionale e comunitario tentano di privilegiare interventi capaci di ridurre gli squilibri territoriali.

Questi possono essere misurati attraverso indicatori di distanza da un dato medio di reddito procapite di riferimento (ad es.: le aree obiettivo 1 - a ritardato sviluppo - hanno valori inferiori al 75%), o attraverso indicatori più sofisticati, come quelli di sviluppo umano dell'UNDP (United Nation Development Programme), che contemplano indicatori di progresso riferiti all'istruzione, alla sanità, alla sicurezza, ecc... .

Annualmente viene pubblicato un rapporto dall'organizzazione in questione, sullo sviluppo umano, completo di una serie di indicatori e studi sulle problematiche dello sviluppo.

La valutazione del contributo apportato alla diminuzione del divario, determina la decisione di finanziare un programma di investimento piuttosto che un altro. Il decisore pubblico, molto spesso individua l'intervento di politica di "sviluppo" concentrando l'attenzione su alcune variabili, definibili di carattere quantitativo:

  • l'ammontare di investimento in capitale e/o infrastrutture;
  • il contributo occupazionale o il mantenimento dei livelli occupazionali per un numero minimo di anni;
  • l'arco temporale di realizzazione.

L'attenzione e la valutazione delle iniziative viene focalizzata sugli input anziché sugli output, trascurando in tal modo qualsiasi valutazione di medio lungo periodo. Tale atteggiamento è tanto più vero quanto maggiore è il ritardo con cui le regioni italiane, specialmente quelle meridionali, spendono le risorse a disposizione. In altre parole, sulla scia dell'urgenza, si attivano risorse per interventi, limitatamente valutati, soprattutto nel lungo periodo.

Al di là delle problematiche relative agli indicatori utilizzati nella costruzione di meccanismi di valutazione degli interventi, è opportuno individuare un percorso logico, un'intelaiatura concettuale per la strutturazione delle procedure di valutazione, che tenga conto dei tre momenti di valutazione: ex ante, in itinere, ex post.

Schematicamente:

Valutazione

EX ANTE

Valutazione

IN ITINERE

Valutazione

EX POST

Perché si valuta

Per formulare

L'intervento

Per modulare l'intervento in corso

Per apprendere da esperienze passate

Quando si valuta

Prima della formulazione dell'intervento

Nel corso della fase di messa in opera

Dopo "un ragionevole lasso di tempo"

Cosa si valuta

La strategia e la tattica (in ordine d'importanza)

La tattica

La strategia

Chi valuta

Il progettista e il gestore (nell'ordine)

Il gestore

Un "esterno"

Destinatario della Valutazione

Il progettista e il gestore (l'importanza si modifica nel tempo)

Il gestore

Il progettista

 

2.2.2.5 I soggetti

La definizione degli obiettivi di una politica di sviluppo necessita l'individuazione dei soggetti coinvolti e dei centri decisionali presenti sul territorio. In altre parole, l'esistenza di una pluralità di centri decisionali e talvolta il frazionamento dei centri di erogazione della spesa, rendono necessaria un'attività di coordinamento, per evitare sovrapposizioni capaci talvolta di vanificare l'intervento. Il rischio è particolarmente forte nelle aree caratterizzate da forti “localismi economici e politici”, con difficoltà di dialogo e concertazione tra i vari attori economici, sia pubblici che privati, del territorio .

La nuova politica di sviluppo per le aree assume tre grandi linee di intervento (relazione previsionale e programmatica per 1999 a cura del Ministero del Tesoro):

  1. l'incentivazione del capitale e del lavoro;
  2. la promozione dello sviluppo imprenditoriale;
  3. la realizzazione diretta da parte dello stato di infrastrutture e di altri investimenti.

Tralasciando "l'incentivazione del capitale e del lavoro", che rappresenta l'apparato di incentivazione per la creazione di nuove imprese quali la L. n. 488/92, l'elemento di indubbio interesse è rappresentato dalla promozione dello sviluppo imprenditoriale, imperniato sulla programmazione negoziata (patto territoriale, contratto d'area, contratto di programma...), così definita perché regolata sulla base di accordi tra soggetti pubblici e privati, che tiene conto delle diversità delle aree svantaggiate, prevedendo una serie di strumenti, differenti tra loro per finalità e modalità di funzionamento, utilizzabili in relazione ai diversi bisogni.

Nell'ambito della programmazione negoziata nasce quindi, il concetto di partenariato tra i diversi attori locali dello sviluppo (siano essi rappresentanti di interessi nazionali che locali, siano essi pubblici che privati), chiamati a progettare di concerto gli interventi che interessano un area in deficit di sviluppo.

A differenza delle passate impostazioni centralistiche, l'obiettivo dell'azione dello Stato è rivolto al coinvolgimento delle istituzioni locali e delle forze sociali, in un accordo che sostenuto a livello centrale, crei le condizioni favorevoli per le imprese alla localizzazione in particolari aree.

Il coinvolgimento di tutti gli attori dello sviluppo nella definizione delle linee di intervento al fine di sviluppare un determinata porzione del territorio, diviene tratto distintivo della nuova normativa e chiama in causa una serie di soggetti che per fini istituzionali o di carattere privato, svolgono un ruolo attivo nei processi di sviluppo.

Si potrebbe così sintetizzare, l'insieme dei soggetti:

a) Amministrazione Provinciale

b) Amministrazione Comunale

c) C.C.I.A.A. (Camera di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura)

d) Sindacati

e) Associazioni di categoria

f) Università

h) Imprese.

Sembra opportuno fare una osservazione che appare tutt'altro che pleonastica, ricordando che il processo di sviluppo è un fenomeno non esclusivamente economico, ma principalmente sociale. Considerato che lo sviluppo locale è un processo caratterizzato da rilevanti trasformazioni della struttura economica e sociale, è un processo di ridistribuzione del prodotto sociale tra gruppi precedentemente esclusi da tale processo, non può che concludersi che è interessata l'intera comunità territorialmente localizzata.

La popolazione diviene anch'essa soggetto attivo del processo di sviluppo, a condizione che lo sviluppo venga inserito all'interno della scala gerarchica dei valori collettivi. La domanda di sviluppo proveniente dal basso deve, da un lato spingere l'interlocutore politico all'adozione di misure ritagliate sulle esigenze del territorio (si sottolinea e si distingue, di breve e di medio-lungo periodo) e dall'altro esprimere una verifica delle politiche di sviluppo attraverso lo strumento del consenso politico.

E' necessario a tal fine creare momenti di discussione e di comunicazione delle iniziative intraprese a livello locale, affinché si possa costruire una coscienza critica collettiva, coesa attorno alla promozione della cultura dello sviluppo.

 

 

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