3.1 Lo scenario generale |
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3.1.2. L'intelaiatura economica 3.1.3. Le dinamiche evolutive del settore industriale 3.1.4. L'industria manifatturiera provinciale nel contesto regionale e nazionale Il dibattito economico sullo sviluppo del Mezzogiorno sta focalizzando l'attenzione sempre più sulla differenziazione territoriale dello sviluppo, in quanto il Mezzogiorno non è considerato più come una realtà uniformemente e omogeneamente arretrata, bensì va riletta tenendo conto delle differenti velocità di sviluppo che negli ultimi anni hanno differenziato aree territorialmente attigue. All'interno di questo scenario variopinto, dove accanto ad aree economicamente marginali, si contrappongono realtà di forte dinamismo, si inserisce la provincia di Foggia, che presenta una sua specificità socio-economica, capace di riprodurre al suo interno la dicotomia dello scenario economico meridionale: accanto ad aree d'industrializzazione endogena ve ne sono altre nate dall'intervento diretto dello stato sull'economia locale, alle aree di vivace attività turistica si contrappongono aree montane marginali. Le contraddizioni generate dalla presenza di un imponente apparato agricolo e il modesto sviluppo dell'industria agrolimentare da un lato, la presenza di un cospicuo patrimonio paesaggistico-naturale e le difficoltà di sviluppo del settore turistico, dall'altro, dipingono a tinte fosche l'intera realtà economica locale e mettono in luce la fragilità del sistema economico, riconducibile principalmente all'assenza di una "cultura dello sviluppo", che trasversalmente abbraccia l'intera struttura sociale. Al fine di comprendere i tratti essenziali della struttura produttiva dell'economia della Capitanata, le potenzialità di sviluppo, gli ostacoli strutturali e gli scenari evolutivi, si procederà ad un'analisi strutturale dell'economia, sgombrando il campo da influenze congiunturali, per analizzare l'andamento delle variabili reali. Ad un'analisi generalizzata sui vari settori economici (attraverso i dati dell'ultimo censimento ISTAT 1991), seguirà un approfondimento sui settori dell'agroalimentare e turismo, sui cui, oggi, si tenta di innestare il processo di sviluppo, attraverso gli strumenti della programmazione negoziata.
3.1.1 Alcuni indicatori di sintesi Prima di analizzare la struttura economica della provincia di Foggia nella sua accezione strutturale, sembra opportuno tracciare in maniera sintetica l'andamento di alcune variabili, che in un certo senso rappresentano l'effetto della presenza di vincoli di natura strutturale. Tale operazione è resa necessaria dall'esigenza di delineare, in modo compiuto, i tratti identificativi dell'economia provinciale. Il territorio della provincia di Foggia, che corrisponde all'antica Capitanata, occupa la parte settentrionale della Puglia. Con una superficie di 718.410 Ha, articolata in 64 comuni, si pone per la sua posizione strategica come una sorta di area "cerniera" (in senso geografico) tra il versante adriatico, da un lato, e il Mezzogiorno continentale, dall'altro. Nonostante una buona collocazione geografica strategica, la provincia di Foggia rappresenta una strozzatura della cosiddetta "via adriatica dello sviluppo" che impone un salto, al processo di crescita verso la provincia settentrionale barese. Se si confronta l'economia della Capitanata con il resto dell'Italia, si può immediatamente percepire il forte divario esistente tra gli aggregati di riferimento. PIL e Valore Aggiunto pro capite Il primo indicatore utilizzabile per la misurazione del benessere economico è il PIL, impiegato sia nella stima della ricchezza di una nazione, che in termini di prodotto "pro capite", per la valutazione del benessere di una collettività localizzata geograficamente. Attraverso i valori che tale parametro assume, l'UE riconosce l'esistenza di squilibri economici che giustificano azioni di sostegno e agevolazioni di vario genere (es.: valori inferiori al 75% della media europea individuano le aree a ritardo di sviluppo inserite nell'Obiettivo 1). Osservando l'andamento del PIL provinciale, tra il 1991 e il 1997, si può notare come tra l'arco temporale di osservazione la provincia di Foggia abbia perso tre posizioni nell'ambito della graduatoria nazionale, scendendo al 93° posto, su scala europea alla 61° posizione . La persistenza di pesanti squilibri economici nell'ambito della provincia di Foggia consente la permanenza tra le aree Obiettivo 1, evidenziando l'urgenza di interventi economici capaci di innescare processi di crescita e sviluppo economico. In termini di valore aggiunto pro capite si coglie la posizione di Foggia tra le provincie che presentano un valore inferiore al 75% della media europea (Eur15=100). I principali indicatori del mercato del lavoro Oltre agli indicatori di misurazione del reddito o del prodotto, ve ne sono altri che concorrono alla determinazione del benessere dell'economia: i tassi di disoccupazione e la distribuzione del reddito. Prenderemo in esame la disoccupazione che rappresenta uno spreco di risorse, oltre che una fonte di disagio e disuguaglianza. Quando essa supera certe soglie (quantitative e temporali) crea povertà diffusa; può giungere a mettere in discussione, a causa della frustrazione e delle privazioni sofferte dai disoccupati, gli stessi valori si cui reggono il tessuto della società e la pacifica convivenza civile (I. Visco, 1997). Utilizzando i dati ufficiali ISTAT sulle forze di lavoro disaggregati a livello provinciale (media annua 1998), che consentono molto più dell'andamento delle iscrizioni alle liste di Collocamento, di delineare un quadro sintetico ma aggiornato sulla situazione del mercato del lavoro provinciale, si scorge il peso notevole che il tasso di disoccupazione relativo alla provincia di Foggia assume (19,7%), all'interno di un difficile quadro continentale (media Mezzogiorno (22,8). L'esame del tasso di occupazione ci consente di misurare il grado in cui l'economia di un area è in grado di sfruttare, la propria "capacità potenziale" di lavoro, sintetizzando l'effetto congiunto delle scelte individuali circa il presentarsi o meno sul mercato del lavoro e delle chances di trovare lavoro quando lo si cerca. Come si può osservare, Foggia esprime valori in linea con la media meridionale e ben 8 punti di differenza con i valori nazionali (che include nel calcolo della media, i bassi vari delle regioni continentali). Se la comparazione avviene con le medie dell'Italia centro settentrionale il divario assume maggiore consistenza. Passando alla disoccupazione giovanile (15 – 24 anni) il divario sembra quasi incolmabile. Dotazione infrastrutturale Accanto alle "grandi infrastrutture" (trasporti, comunicazione, ecc…), che determinano un terreno favorevole per le iniziative industriali, consentono economie esterne e riduzione di costi diretti per le imprese, vanno considerate quelle di dimensione generalmente "minore", a carattere diffuso (reti idriche, opere di urbanizzazione primaria, sistemi scolastici e di tutela della salute, ecc…), che rispondono in primo luogo ad esigenze di natura sociale, collegate come sono con la necessità di assicurare standard di vita adeguati, e in seconda istanza (soltanto alcune tra quelle menzionate) aventi anche la caratteristica di input di processi produttivi (Bracalente, Di Palma, Mazziotta, 1991). La notevole rilevanza delle risorse locali, umane e materiali, nel processo di sviluppo produttivo, e quindi il ruolo strategico degli investimenti in infrastrutture – nella loro più larga accezione (sociali ed economiche) – costituisce un ruolo centrale nell'analisi dei problemi regionali. Le infrastrutture sociali ( istruzione, salute, cultura, ecc…) sono ritenute decisive per una maggiore qualificazione e produttività della delle forze lavoro, sia per promuovere l'imprenditorialità. In definitiva, alla dotazione di infrastrutture economiche e sociali, considerata congiuntamente all'agglomerazione delle attività produttive, si attribuisce la capacità di generare potenti economie esterne in grado di attivare meccanismi di autopropulsione dello sviluppo economico (IBIDEM). In quest'ottica è possibile dare un breve sguardo alla distribuzione territoriale delle infrastrutture cosiddette "minori", per poter cogliere una prima forte dicotomia tra regioni del Centro-Nord e del Sud. I livelli disagiati delle regioni meridionali riguardano sia le infrastrutture "economiche" (l'approvvigionamento idrico) sia quelle sociali, che non svolgono un ruolo di compensazione e integrazione ai modesti livelli di reddito, anzi ampliano i divari in termini di qualità della vita. Inoltre, si evidenzia il legame causa-effetto tra sviluppo industriale e dotazione di infrastrutture minori rif.1, rif.2, rif.3, rif.4, rif.5 (le città di piccole e medie dimensioni relativamente più industrializzate fanno registrare maggiori livelli di dotazione). Dotazione infrastrutturale: Per analizzare la dotazione infrastrutturale della Capitanata, si farà ricorso ad indici sintetici indicativi dei livelli di dotazione, disaggregati a livello provinciale, costruiti in maniera diversa dai precedenti, in quanto questi ultimi non sono disponibili per provincia. Osservando i valori degli indicatori delle infrastrutture "tradizionali" si può osservare che:
Accanto alla sottodotazione quantitativa si riscontrano quelle "diseconomie" generate dal livello qualitativo:
Analizzando la dotazione di alcune tra le infrastrutture precedentemente definite "minori", si ripercorrono le linee tracciate nell'analisi del paragrafo precedente:
La sintetica analisi compiuta attraverso una molteplicità di indicatori, ha evidenziato chiaramente l'esistenza di un forte divario, la cui natura sarà ricercata nelle pagine a seguire, rispetto alle altre aree di riferimento, manifestatosi sia attraverso disparità dei redditi, di opportunità di lavoro, di dotazioni infrastrutturali economiche e sociali.
3.1.2 L'intelaiatura economica L'analisi strutturale dell'economia di Capitanata condotta attraverso i dati dell'ultimo censimento, evidenzia una matrice produttiva centrata in gran parte sul settore agricolo e con livelli di industrializzazione ben lontani dai valori medi regionali e ancor più nazionali. In parte influenzata da un imponente apparato agricolo, ma soprattutto da motivi storici, culturali e politici, l'industria provinciale appare gravata da vincoli strutturali che ne mostrano la relativa fragilità e soprattutto non raggiunge un sufficiente grado di diffusione. L'economia di Capitanata rispecchia il quadro strutturale delle economie meridionali. Caratteristica comune delle aree poco industrializzate è l'elevata quota degli occupati nel settore edilizio, nel commercio al minuto e nel pubblico impiego. Utilizzando l'indice occupazionale per settori di attività economica si evince la situazione sopra delineata:
Il ritardo strutturale dell'industria è evidente dall'esame dei tassi di industrializzazione (addetti all'industria ogni 100 abitanti residenti), un indicatore di immediata lettura e di notevole capacità di sintesi. La provincia di Foggia presenta valori inferiori rispetto a tutti gli altri aggregati di riferimento. P ALIGN="JUSTIFY">3.1.3 Le dinamiche evolutive del settore industriale Disaggregando ulteriormente i dati e analizzando nel dettaglio, si possono individuare le tendenze evolutive del settore industriale:
3.1.4 L'industria manufatturiera provinciale nel contesto regionale e nazionale L'esame dei dati censuari ci permette di definire il tessuto industriale provinciale come dualistico: da un lato vi sono poche grandi imprese a capitale esogeno, prevalentemente controllate da grandi società del Centro-nord, dall'altro vi è un numero elevato (relativamente) di imprese di dimensioni piccolissime e piccole (la media impresa è scarsamente presente nell'area), scarsamente competitive, chiuse (nella maggior parte dei casi) nell'ottica locale del mercato. L'analisi comparata dell'industria manifatturiera evidenzia l'aspetto dualistico dell'apparato industriale e la disarticolazione del suo sviluppo. I settori economici che mostrano valori superiori alla media regionale e nazionale sono l'alimentare, l'industria chimica, la fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi e l'industria della carta. L'industria agro-alimentare; (assorbe il 22,3% dell'occupazione contro una media nazionale dell'8,8%) rappresenta un settore fondamentale della struttura industriale, non certo per il modesto sviluppo raggiunto, ma perché è l'unico settore che può sfruttare razionalmente ed efficientemente la imponente produzione agricola. L'industria di trasformazione dei minerali non metalliferi appare ridimensionata; nonostante sia interessata da un processo di ristrutturazione/riorganizzazione (a fronte di un aumento delle unità locali vi è una diminuzione degli addetti), continua ad esprimere valori superiori rispetto agli altri aggregati. l'industria chimica e della carta: i differenziali, più evidenti rispetto alla media regionale che a quella nazionale, sono frutto della presenza di imprese a partecipazione statale, quindi di grandi dimensioni e riflettenti il modello di industrializzazione esogeno. Il settore metalmeccanico esprime valori che presentano scarti percentuali del 4,8 con la media regionale e ben 10,1 con la media nazionale, sebbene in termini di unità locali le differenze si attenuano. Quest'ultimo fenomeno (più in generale riguarda l'intera industria manifatturiera) discende dal fatto che la struttura dimensionale 0delle imprese metalmeccaniche si divide tra un nutrito gruppo di micro imprese e alcune medio e medio-grandi imprese. Infatti, le imprese da 1 a 9 addetti assorbono circa il 40% degli occupati nel settore, mentre le imprese di grandi dimensioni coprono quasi il 47%; la rimanente parte, meno consistente, è occupata in imprese di piccola dimensione. Accanto ai settori che mostrano valori inferiori, ve ne sono altri che ad una prima analisi potrebbero sembrare in linea con i dati nazionali, ma ad una analisi più dettagliata mostrano una sostanziale differenza. È il caso dell'industria del "legno e mobili" che assorbe un occupazione simile al dato nazionale, ma se disaggregato evidenzia il peso minore del mobilio e maggiore dell'industria del legno (Foggia 4,6%, Puglia 4,3%, Italia 3,6%), trainata dalle costruzioni, un settore in continua crescita nell'ultimo ventennio. La struttura produttiva della provincia di Foggia non può comunque essere identificata con il settore manifatturiero, proprio perché vi sono altri settori produttivi che esercitano un peso economico maggiore rispetto al comparto in esame.
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3.2 L'articolazione territoriale della produzione |
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3.2.2. Le aree a magiore densità industriale 3.2.3. Quadro di sintesi 3.2.1 La struttura economica dei comuni più rappresentativi La provincia di Foggia è suddivisa in 64 comuni: il 12,5% interessa zone montuose, il 50% zone collinari e il 37,5% zone pianeggianti. Nonostante si estenda su un vasto territorio, la popolazione e le attività produttive tendono nel tempo a concentrarsi nei cinque maggiori comuni pianeggianti della provincia, evidenziando la presenza di un flusso migratorio che spinge la popolazione ad abbandonare zone le cui attività economiche (pastorizia, piccole estensioni coltivabili, botteghe artigianali) non sono più sufficienti per il sostentamento familiare. I comuni di Foggia, San Severo, Cerignola, Manfredonia e Lucera assorbono il 52% della popolazione provinciale e il 57% degli occupati nell'industria. L'analisi dei cinque comuni più rappresentativi ci permette di individuare la distribuzione delle attività economiche, nonché l'omogeneità o l'eterogeneità della struttura economica, e cogliere eventuali casi di specializzazione produttiva (in relazione ai valori espressi dagli altri aggregati di riferimento). L'analisi della distribuzione occupazionale tra le varie attività economiche evidenzia la sostanziale eterogeneità della struttura economica. In tutti e cinque i casi gli addetti all'industria, con lievi differenze, sono circa la metà degli addetti agli "altri servizi", e se si elimina il comparto costruzioni, il divario si amplia notevolmente. A parte la spiccata vocazione agricola di Cerignola e la presenza di addetti alla "pesca, piscicoltura e servizi connessi" nel comune di Manfredonia, i differenziali percentuali dell'industria manifatturiera tra Foggia e gli altri comuni sono dovuti alla presenza di grandi impianti provenienti dall'esterno cioè non nascenti da capitali locali. Infatti, nell'esaminare la struttura dell'industria manifatturiera si nota il maggiore peso economico del settore metalmeccanico foggiano (52,6%), dovuto alla presenza della IVECO-SOFIM (produzione motori Fiat) e nell'ambito della produzione di componentistica aero-spaziale, dell'ALENIA, che insieme assorbono il 50% degli occupati nel "metalmeccanico" (se si effettua la comparazione tra le produzioni di "prodotti elettrici" le differenze sono attenuate). L'analisi è confortata dal fatto che la percentuale delle unità locali impegnate nella fabbricazione di "prodotti in metallo" è quasi uguale tra i cinque comuni. Ben più rilevante non per il grado di sviluppo raggiunto, ma per le potenzialità di sviluppo connesse, è l'industria agro-alimentare che vede il comune di Cerignola primeggiare con una quota di occupati pari al 48,3% ed un numero di unità locali pari al 25,8%, confermando la sua vocazione oltre che agricola, agro-industriale nel campo della lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi. Nell'intero contesto provinciale, il comune di Cerignola presenta il valore più alto (dopo Foggia) in termini di occupati nell'agro-alimentare (10%). Un polo di rilievo nell'industria del mobilio è rappresentata da San Severo, che a differenza degli altri comuni vede circa il 20% della forza lavoro manifatturiera concentrata nel comparto "mobili", contro una media provinciale del 2,7%. La struttura produttiva della provincia di Foggia non può essere identificata con un unico settore, anzi la specificità dell'area consiste nella presenza di settori produttivi, che nella media nazionale assumono un peso inferiore, e che consentono di definire il modello di "sviluppo" (se di sviluppo può parlarsi) come policentrico. Accanto all'industria agroalimentare vi è la rilevante industria estrattiva di minerali non metalliferi, con la significante attività di estrazione e lavorazione del marmo di Apricena, e soprattutto l'industria delle costruzioni. Di rilievo è anche il terziario, sebbene di tipo tradizionale legato al commercio al minuto, alberghi, pubblici esercizi e trasporti. In ultimo e non meno importante il settore della Pubblica Amministrazione, vero e proprio "rifugio" dell'occupazione provinciale.
3.2.2 Le aree a maggiore densità industriale L'analisi del livello di industrializzazione dell'area foggiana fin qui condotta attraverso i dati provinciali e quelli relativi ai cinque comuni più rappresentativi (in virtù della concentrazione produttiva) offre una chiave di lettura che non coglie le dinamiche produttive dei comuni di piccole dimensioni. È quindi necessario disaggregare il dato provinciale e procedere attraverso l'analisi dei dati comunali per individuare la divisione territoriale delle attività produttive e la relativa specializzazione delle sub-aree individuate. L'elaborazione cartografica dei dati relativi al numero degli addetti industriali ogni cento abitanti, consente di cogliere l'effettivo peso dell'industria nei 64 comuni della provincia e le sub-aree a maggiore densità industriale. Utilizzando come valore di riferimento la media regionale (7,1 addetti all'industria per 100 abitanti) e tenendo conto che comunque la media nazionale è di 12,1 addetti, si possono individuare aree con diverso grado di industrializzazione, in specie:
Pietramontecorvino. L'unico comune con un livello di dotazione maggiore a 9 addetti è, un paese con tremila abitanti. In realtà, il dato risente dell'influenza degli addetti alle "costruzioni" che coprono più del 50% della forza lavoro dell'industria, sebbene esista una piccola "enclave" di micro-imprese tessili che assorbe il 24% degli occupati nell'industria (sempre in relazione ai 275 addetti all'industria). Tra i centri che presentano valori superiori alla media regionale vi sono: Apricena. Importante per l'industria estrattiva di minerali non metalliferi, in specie l'estrazione di marmo, e le relative attività di lavorazione. L'industria estrattiva dell'area di Apricena assorbe il 26% del totale degli addetti all'industria ed il 17% delle unità locali industriali (quest'ultima assorbe il 43% degli addetti alle unità locali, compreso P.A. e terziario). Monte Sant'Angelo. I valori superiori alla media regionale sono frutto della presenza di un grande impianto chimico (Enichem, 853 occupati) che sebbene attiguo al comune di Manfredonia rientra nel comune di Monte Sant'Angelo. Tra l'altro gli 853 occupati nel polo chimico non provengono unicamente da "Monte" ma anche da Manfredonia e da altri comuni limitrofi, quindi sembra più corretto parlare di area "più industrializzata" (rispetto alla regione) comprendendo i due comuni. Trinitapoli. sembra opportuno parlare di "area" prendendo in considerazione Margherita di Savoia e San Ferdinando di Puglia. Trinitapoli presenta una concentrazione produttiva nel comparto "calzature" con una quota di occupati pari a 496, corrispondente al 66,7% degli occupati nell'industria delle calzature dell'intera provincia di Foggia. Margherita di Savoia oltre ad essere importante per il turismo termale, presenta valori elevati nel comparto estrattivo, in specie produzione di sale con una quota di occupati pari al 44,2% (degli addetti all'industria, comprese le "costruzioni"). La struttura industriale di San Ferdinando è per più del 50% (sia degli occupati che delle unità locali industriali) concentrata nelle costruzioni, anche se esiste un settore alimentare che copre il 15% degli occupati e i settori tessili, abbigliamento e cuoio con circa il 15%. L'elaborazione cartografica evidenzia valori che per la maggior parte dei comuni è al di sotto dei 5 addetti × 100 abitanti, tra essi il capoluogo di provincia. Inoltre, si individua una "fascia più industrializzata" in cui le attività industriali assumono una certa rilevanza, compresa tra Monte Sant'Angelo-Manfredonia e Trinitapoli-Margherita di Savoia, quindi dal Golfo di Manfredonia al confine con la provincia di Bari. 3.2.3 Quadro di sintesi Come in precedenza ricordato, la struttura industriale della provincia di Foggia non si identifica in un modello unitario di "sviluppo", ma come un modello eterogeneo, dove accanto ad aree di industrializzazione esogena, vi sono aree caratterizzate dalla presenza di iniziative micro-industriali basate prevalentemente sulla domanda locale. Sia nell'uno che nell'altro caso non si può parlare di "sviluppo industriale" in quanto non hanno innescato quei processi di industrializzazione autopropulsivi e autosostenentesi, che si riscontrano in altre aree del paese. Aggregando le risultanti delle analisi svolte nei precedenti paragrafi, è possibile individuare le aree provinciali a maggiore densità industriale a seconda che riflettano il modello di industrializzazione "calato dall'alto" o il modello della industrializzazione "nascente dal basso", tenendo comunque in debita considerazione la scarsa competitività e il modestissimo peso economico di queste ultime.
All'interno di queste aree il peso della grande industria è notevole. La localizzazione della grande impresa è legata a meccanismi di incentivazione promossi dall'operatore pubblico nell'ottica del contenimento della disoccupazione, poco rispondente alle vocazioni produttive locali. Le interrelazioni produttive con le imprese locali sono di limitata portata, in quanto queste ultime, gestite per la maggior parte dei casi in modo "artigianale", non possiedono i requisiti richiesti dalla grande impresa, non sono cioè in grado di fornire prodotti rispondenti agli standard qualitativi prefissati. Il processo di industrializzazione ha generato in alcuni casi flussi migratori che hanno innescato un processo di crescita urbana con difficoltà di controllo e/o pianificazione (come nel caso di Manfredonia). Ne sono esempi: Manfredonia-Monte Sant'Angelo, Foggia.
Caratteristica comune a questo tipo di aree è lo scarso peso economico esercitato dalla struttura produttiva delle micro e piccole imprese, oltre che dai bassi tassi di industrializzazione. La struttura industriale appare "frantumata"; non esistono produzioni e competenze specifiche ampiamente diffuse; le interrelazioni produttive sono nel complesso molto scarse. Le produzioni interessano soprattutto i mercati locali/regionali, con limitate eccezioni legate ai prodotti della lavorazione dei minerali non metalliferi (marmo), al "mobilio" e ai prodotti della prima trasformazione dei prodotti agricoli. All'interno vi sono sub-aree che presentano una specializzazione produttiva, definita tale non in relazione alla qualità delle imprese operanti in un ottica di "sistema locale" (con ampia diffusione delle conoscenze tecniche e tecnologiche, delle strategie di mercato e delle interrelazioni produttive) ma dalla presenza di un nutrito gruppo di imprese che operano in uno stesso comparto. In breve, sembrerebbero aree "specializzate" non in senso qualitativo, ma puramente quantitativo. Ne sono esempi: San Severo, Cerignola, Trinitapoli, San Ferdinando, Foggia (in parte). |
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3.3 L'analisi strutturale del settore agroalimentare |
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3.3.2. L'industria di trasformazione 3.3.3. I principali comparti dell'agroalimentare foggiano L'industria di trasformazione dei prodotti agricoli tende nel tempo ad essere sempre meno un settore produttivo a se stante e sempre più integrato con altri settori, tale da ricondurre l'impresa agroindustriale in una logica di "filiera agroalimentare" caratterizzata dalla stretta interdipendenza tra agricoltura-industria-distribuzione. Il sistema agroalimentare così delineato coinvolge un insieme di soggetti che si pone come target finale il soddisfacimento dei bisogni alimentari del consumatore. L'evoluzione dell'intera filiera verso modelli organizzativi complessi, inducono il settore primario ad una interazione sinergica con l'industria (attraverso un processo di influenza reciproca) attribuendo ad esso un ruolo non più subordinato, bensì integrato nell'ambito dell'intero sistema agroalimentare. In questa ottica di integrazione verticale, l'imponente produzione agricola provinciale potrebbe essere incanalata nei processi di trasformazione industriale, ed esercitare un'azione "leva" (l'agricoltura pone le premesse per la nascita dell'agroindustria, ma risultano fondamentali alcune variabili socio-economiche necessarie per innescare quei processi di crescita e successivo sviluppo, autogeni e autosostenentesi) per la formazione di un articolato sistema di imprese agroalimentari e nella migliore delle ipotesi di veri e propri distretti industriali. 3.3.1 Il settore primario Nell'ambito delle economie sviluppate il settore primario occupa un posto residuale, tende cioè ad esercitare un peso economico minore sulla struttura produttiva in relazione allo sviluppo degli altri settori. Il divario tra redditi agricoli ed extragricoli cresce costantemente nel tempo in maniera tale da allontanare sempre di più le posizioni dell'agricoltura rispetto agli altri settori produttivi. Tale processo, sebbene presente nell'area, non assume portata rilevante, o meglio "erode" molto più lentamente (le posizioni dell'agricoltura) rispetto al resto del paese. Le peculiarità territoriali della Capitanata hanno attribuito all'agricoltura un ruolo decisivo nell'economia provinciale (sia in termini di occupati che di partecipazione al reddito complessivo) e sebbene interessata da un naturale processo di razionalizzazione strutturale e di integrazione nell'economia nazionale e comunitaria, continua a rappresentare il settore trainante. Con una superficie territoriale di 718.814 Ha (per il 57,7% pianeggiante, il 37,7% collinare, il 36% montana) ed una Superficie Agricola Utilizzata di 529.449 Ha (73,7%), la Capitanata si pone in posizione di rilievo nell'intero quadro nazionale per la sua vocazione agricola. Nel settore primario la provincia è seconda nella graduatoria nazionale per valore della produzione lorda vendibile che ammonta a circa 2000 miliardi, con una quota di occupati pari al 21% ed una partecipazione alla formazione del valore aggiunto del 15%, un peso nettamente superiore rispetto a quello che il settore esercita nella regione (per la Puglia, rispettivamente il 15,4% e il 7,7%). La presenza di una vasta pianura (e di condizioni climatiche favorevoli), il Tavoliere di Puglia, ha permesso una specializzazione produttiva nel comparto delle coltivazioni erbacee, in particolare il frumento duro, che interessa circa il 50% della Superficie Agricola Utilizzata, con una produzione che costituisce più del 70% dell'intera produzione regionale. Sebbene la produzione di grano duro caratterizzi l'agricoltura foggiana, si assiste nel decennio 1980/90 ad una diminuzione della specializzazione produttiva nel comparto in esame, ad appannaggio delle produzioni olivicole e di ortaggi (la specializzazione nella viticoltura è stabile). Nell'ambito di queste ultime, di rilievo è la coltivazione del pomodoro da industria che tra il decennio 1980/90 ha raddoppiato la superficie investita, interessando circa la metà delle aziende che praticano l'orticoltura. Analizzando la struttura dimensionale delle imprese agricole, si evidenzia la maggiore dimensione media, sia con riferimento alla superficie totale (9,9) che quella utilizzata (8,8), rispetto alla media regionale (4,2) e nazionale (5,1). Le risorse idriche a disposizione delle imprese agricole per fini irrigui risultano insufficienti a soddisfare la domanda di acqua, anche se nel decennio 1982/90 notevoli sforzi sono stati compiuti per potenziare la capacità distributiva irrigua attraverso impianti pubblici. Attraverso l'analisi dei principali indicatori si evince:
La Capitanata, quindi, gode di un bacino agricolo quantitativamente imponente, ma qualitativamente modesto dovuto alla difficoltà degli imprenditori agricoli di effettuare politiche di gestione e programmazione di medio-lungo periodo, finalizzate all'inserimento (in un'ottica concorrenziale) sul mercato dei prodotti agroalimentari, attraverso un progressivo adattamento funzionale nei rapporti con le imprese industriali e commerciali. (attraverso forme di collaborazione fra produttori agricoli e fra questi e gli operatori dei settori industriali e commerciali, sia in termini di associazione che di contratto). 3.3.2 L'industria di trasformazione L'industria alimentare provinciale esprime valori superiori (sia in termini di addetti che di unità locali) alla media regionale e nazionale, ma se si fa riferimento al valore aggiunto, il suo peso ne esce notevolmente ridotto. Infatti, la Puglia detiene poco più del 5% (quota regionale del valore aggiunto nazionale alimentare), mentre l'intero Nord detiene il 70% (Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, da sole detengono il 60%). Esaminando la distribuzione degli addetti si può notare quali siano le attività prevalenti nell'ambito dell'industria alimentare provinciale:
Comparando i dati provinciali con la media regionale, si possono individuare le attività in cui la Capitanata detiene una "specializzazione produttiva" (in termini di occupati, più in generale in termini quantitativi): riguarda il comparto "lavorazione frutta e ortaggi" (lo scarto di 5,4 punti) e della lavorazione delle granaglie (la differenza è più lieve, ossia 3,7 punti). 3.3.2.1 La distribuzione territoriale dell'agroindustria Per poter cogliere le specializzazioni produttive dell'agroindustria nelle diverse sub-aree della provincia di Foggia, ci si avvale dei dati comunali, che forniscono informazioni più dettagliate, ma soprattutto evidenziano la stretta correlazione tra specializzazione colturale di una area e specializzazione produttiva delle imprese di trasformazione ivi localizzate. In primo luogo, si può notare che più del 50% delle attività agroalimentari è concentrato nei cinque comuni della provincia di maggiore dimensione. All'interno di questo gruppo spiccano i valori elevati espressi da: Foggia per la fabbricazione di "altri prodotti alimentari" (classe ampia che comprende, come altrove detto, categorie eterogenee di imprese alimentari); San Severo per l'industria delle bevande Cerignola per quanto riguarda la "lavorazione di frutta e ortaggi". Il valore elevato del comparto "lavorazione di altri prodotti alimentari" espresso dal comune di Foggia dipende in buona sostanza dalla presenza di impianti di piccole-medie dimensioni che svolgono tutte le fasi della trasformazione: nel campo della pastificazione, con i pastifici Barilla e Tamma (solo quest'ultimo nasce da capitali locali); nel campo della fabbricazione dello zucchero con lo zuccherificio del gruppo SFIR; infine nel settore della surgelazione. Per quanto riguarda Cerignola la specializzazione nella "lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi" (sono poche le aziende che effettuano l'intero processo produttivo, tenendo conto che il totale delle imprese rilevate nell'area corrisponde a 12) è dovuto alla presenza di un rilevante bacino ortofrutticolo e viticolo. Infine, S.Severo, di rilievo per la produzione dei vini doc (tenendo in considerazione che solo una minima parte della produzione vinicola riguarda vini di qualità) per la maggior parte realizzata attraverso le cantine sociali. Accanto al gruppo dei comuni di maggiore dimensione, vi è un secondo gruppo di comuni più piccoli ma non certo di minore importanza. Circa il 20% del totale degli addetti all'industria alimentare provinciale è distribuito tra l'area che comprende i comuni di Margherita di Savoia-S.Ferdinando di Puglia-Trinitapoli (8%), l'area di Orta Nova-Carapelle-Stornara (6%) e l'area di S.Paolo-Torre Maggiore-Poggio Imperiale-Sannicandro (5,5%). 3.3.2.2 I mutamenti strutturali L'andamento occupazionale dell'industria alimentare provinciale ha registrato nell'intervallo censuario 81/91 un andamento negativo decisamente superiore rispetto alla contrazione rilevata a livello regionale (-7,5%) e alla sostanziale invarianza a livello nazionale (-0,8%). Se alla diminuzione degli occupati (-20,3) si aggiunge un aumento delle unità locali alimentari, non si può che constatare la presenza di un processo di ristrutturazione e riorganizzazione produttiva, intercorsa nell'intervallo censuario, che interessa in generale l'apparato agro-alimentare foggiano. Analizzando i singoli comparti si possono individuare i diversi andamenti:
3.3.3 I principali comparti dell'agroalimentare foggiano I principali comparti dell'agroalimentare foggiano sono: La filiera molitorio-pastarioTra le produzioni agricole quella del grano duro è sicuramente la più sviluppata e la più consolidata in Capitanata. L'elevato grado di diffusione di tale coltura è dovuto da un lato alle caratteristiche climatiche e alla struttura pianeggiante-collinare del territorio e dall'altro alla deficienza idrica dell'aria (una sorta di "percorso obbligato"). Circa 270 mila ettari di superficie è investita nella produzione di frumento duro, impegnando quasi 32 mila aziende agricole (tra il 1982/92 sono stati prodotti in media poco meno di 6 milioni di quintali all'anno). La produzione provinciale di frumento duro (circa il 60-70%) affluisce nell'industria molitoria di Capitanata che, utilizzando la stessa tecnologia di base produce due differenti prodotti. Il primo rappresenta il prodotto intermedio (semole e farine) utilizzato successivamente dall'industria pastaria, della panificazione e dei prodotti da forno, il secondo, meno rilevante rispetto al primo, si dirige verso il consumo finale per l'utilizzazione domestica. La parte preponderante della semola prodotta (circa 90%) si dirige al di fuori dei confini provinciali (utilizzata dai pastifici regionali, nazionali o esportata), mentre solo il 10% viene utilizzata dai tre stabilimenti che producono paste alimentari secche (Pastificio di Lucera, Tamma, Barilla). I problemi strutturali presenti nelle imprese molitorie foggiane possono essere così riassunti:
Come in precedenza accennato, la fase della seconda trasformazione industriale riguarda l'industria pastaria, limitatamente sviluppata nell'area, se si considera che su tre impianti quello della Barilla occupa più della metà degli addetti all'industria delle paste alimentari. Le altre due imprese a carattere locale dispongono di impianti di pastificazione integrati con quelli per l'attività molitoria che rappresenta il fulcro della produzione. Tali imprese tentano di adottare una politica di differenziazione produttiva, ricorrendo ad alimenti complementari alla pasta (passata di pomodoro, olio, riso ecc..) per poter conseguire un maggior grado di penetrazione dei mercati. La filiera in esame presenta una serie di problemi strutturali che interessano ogni segmento produttivo. Dal lato della produzione agricola, la polverizzazione delle aziende agricole e l'inadeguata organizzazione della produzione comportano una scarsa integrazione verticale con le imprese di trasformazione (oltre che la saturazione della produttività dei terreni) che si risolve a danno dei produttori agricoli; dal lato della trasformazione industriale, la limitata presenza delle industrie pastarie locali sul mercato nazionale ed internazionale (le esportazioni dirette di pasta hanno rappresentato nel 1991 un valore pari a circa il 2% delle esportazioni nazionali) conseguente alla limitata attività di produzione di paste alimentari, limita notevolmente la possibilità di sviluppo di tale segmento. Se a ciò si aggiunge l'aumento della pressione competitiva sui mercati, conseguente alle politiche di fusione e acquisizione di imprese operanti nel settore effettuate dai grandi marchi nazionali ed internazionali, le incertezze sulle prospettive di sviluppo dell'intera filiera non possono che moltiplicarsi. La filiera orto-frutticola Le aziende agricole dedite all'orticoltura, secondo quanto rilevato dall'ultimo censimento, risultavano circa 75.000 interessando una superficie di poco inferiore ai 26 mila ettari (nell'intervallo temporale 82/90 le aziende in esame sono aumentate del 10% e le superfici coltivate di ben il 100%). Un posto di rilievo, sia per l'importanza che per le contraddizioni che genera, è occupato dalla produzione di pomodoro di industria, notevolmente cresciuta negli ultimi anni, passando da 4 milioni di quintali nel 1982 a 16 milioni di quintali nel 1992. Accanto alla imponente produzione di pomodoro si è sviluppata negli ultimi anni la produzione delle ortive (carciofo, cavolo, broccolo, spinacio ecc..) destinate sia al consumo fresco, sia, come materia prima, all'industria di trasformazione. Le aziende che si occupano della lavorazione di "frutta e ortaggi" sono passate da 38 (nel 1981) a 54, segnando un sostanziale aumento, sebbene in termini di occupati l'aumento è stato limitato (da 775 a 876). Se si osserva l'aspetto dimensionale delle imprese operanti in tale segmento, si può notare che più del 60% delle unità locali si colloca nella classe da 1 a 9 addetti, circa il 30% nella classe da 10-49 e il 7% tra 50-99 (solo un'impresa si colloca nella classe da 100-199), quindi, una struttura produttiva polverizzata in imprese di piccolissime dimensioni. Caratteristica comune alla maggior parte delle aziende impegnate nella trasformazione degli ortaggi è la lavorazione per conto terzi, mentre solo una minima parte commercializza direttamente i prodotti con un proprio marchio. Anche nel campo della surgelazione, importante sbocco per le colture orticole, le imprese provinciali non hanno sviluppato una politica di marchio, quindi il loro rapporto con il mercato del consumo è mediato dall'industria committente. Solo un'impresa commercializza parte della produzione, attraverso un marchio proprio, destinata al segmento del catering. Un discorso a parte merita l'industria di trasformazione del pomodoro: a fronte di una produzione provinciale di 30 milioni di quintali, una sola ditta risulta assegnataria di una quota di 350 mila quintali, cioè è stato trasformato in Capitanata solo l'1,2% della produzione agricola. La quasi totalità della produzione di materia prima si dirige verso le imprese localizzate in Campania, queste ultime assegnatarie di una elevata quota di contributi comunitari per la trasformazione del prodotto. Anche tale segmento del sistema agroalimentare è afflitto da una serie di problemi che vanno dallo scarso grado di integrazione orizzontale tra i produttori agricoli, alla limitata integrazione verticale (il ruolo delle associazioni dei produttori è del tutto marginale). Di là dai problemi di rigidità del sistema di trasformazione industriale del pomodoro, legati all'attuale sistema di erogazione dei contributi, è da segnalare il fallimento di una serie di iniziative locali intraprese in passato in tale settore. La filiera olivicola-olearia La coltura dell'olivo occupa in media meno del 10% della Superficie Agricola Utilizzata complessiva provinciale, sebbene in alcune zone del Gargano (Vieste, Carpino, Vico del Gargano), del Tavoliere centrale (S.Severo, Torremaggiore) oltre che nei comuni meridionali della provincia, rappresenti una rilevante fonte di reddito. Poco meno dell'80% delle olive prodotte in Capitanata viene trasformato negli oltre 200 frantoi provinciali, con una produzione che per l'80% è costituita da olio extra-vergine di buona qualità. Il flusso delle esportazioni subisce nel tempo forti oscillazioni denotando la mancanza di rapporti stabili e continuativi con i mercati esteri. La maglia produttiva dell'industria di trasformazione è ancora frammentata in imprese di piccole dimensioni, la maggior parte delle quali dotate di impianti tradizionali con modeste capacità lavorative. Lo sviluppo di tale segmento (senza sottovalutare i problemi strutturali di fondo) potrà essere supportato dalla approvazione della doc relativa alle produzioni della provincia, costituendo quest'ultimo un fattore leva per cogliere nuove opportunità di mercato per le produzioni di qualità elevata. La filiera vitivinicola In base alle ultime rilevazioni censuarie le aziende impegnate nella coltivazione della vite erano poco più di 16 mila, interessando il 5,5% (29.199 Ha) della SAU. La quasi totalità delle aziende agricole dedite alla viticoltura produce uva per vini comuni (superficie investita 24.492), il 2,6% produce uva per vini doc/g (s.i. 1.172 Ha) e circa il 10% produce uva da tavola (s.i. 3.455). La caratteristica principale delle imprese provinciali impegnate nella trasformazione dell'uva è la limitata dimensione, sebbene tale fenomeno sia tipico dell'intero comparto nazionale. Le aziende di maggiore dimensione sono a carattere cooperativo e svolgono un ruolo fondamentale nell'attività di prima trasformazione. Tratto peculiare degli organismi sociali è la prevalenza di produzioni di vini comuni (95%), mentre la realizzazione di vini di qualità non supera il 5%. Le esportazioni di vino sono cresciute in maniera sostanziale passando dai 2,9 miliardi di lire del 1988 ai 26,4 miliardi del 1991 (nel '92 19,7 miliardi), interessando in buona parte il prodotto allo stato sfuso, che viene venduto all'industria enologica francese (principale acquirente dei vini prodotto in provincia). Sebbene il controllo della produzione agricola attraverso gli organismi sociali svolga un ruolo importante, evitando la "frammentazione" dell'offerta di materia prima, rimane il problema della fragilità della maglia aziendale, legata a problemi di carattere finanziario, tecnologico e organizzativo, che limita l'attività alla prima trasformazione del prodotto, imbottigliato e valorizzato al di fuori dell'area d'origine. Accanto a questo tipo di aziende, ve ne sono altre più dinamiche, che hanno avviato una politica di differenziazione produttiva, associando alla produzione di vino con un proprio marchio, la produzione di olio e/o conserve, in modo da raggiungere fette di mercato più consistenti. |
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3.4 La "risorsa" Turismo |
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3.4.2. La domanda turistica 3.4.3. Punti di forza ed elementi di debolezza La complessità del fenomeno turistico, che per la sua natura polivalente abbraccia una serie di settori (di carattere economico e non), spinge gli studiosi a concentrare l'attenzione sull'andamento di determinate variabili, che più di altre si prestano ad una lettura, operando una delimitazione semplificatrice, che seppur arbitraria è resa necessaria. Per ragioni di oggettività del modello da esaminare si utilizzano indicatori quali: la ricettività, l'intermediazione e produzione di viaggi, la ristorazione, il turismo e tempo libero. Nella sua accezione più ampia l'offerta turistica può essere considerata come quel complesso insieme di risorse, beni e servizi, che contribuisce al soddisfacimento della domanda finale espressa dai turisti. Per poter misurare l'entità dell'offerta turistica è necessario suddividere tale aggregato nelle sottocategorie di cui si compone:
La scomposizione dell'offerta turistica evidenzia come tale aggregato non è riconducibile esclusivamente alla presenza di risorse ambientali o culturali (dotazione storico-paeaggistica), anzi include la dotazione di servizi e di attività che rendono accessibile la località con vocazione turistica. In tal modo divengono precipui per l'accessibilità aspetti legati a:
I tratti dell'offerta turistica che si vanno delineando, evidenziano la copresenza di una serie di elementi costitutivi, che esercitano un differente peso all'interno dell'aggregato: Aspetti naturali: clima, mare e laghi, spiagge e litorali, monti, neve, parchi nazionali, riserve naturali, fonti termali, flora e fauna; Aspetti storici e culturali: località storicamente e artisitcamente rilevanti, manifestazioni religiose, musei, mostre; Servizi ricettivi e altri servizi: alberghi motel pensioni, villaggi turistici e campeggi, appartamenti e case per ferie, bungalow e chalet, alloggi agricoli e rurali, residenze, ostelli e rifugi, centri attrezzati per congressi, conferenze e mostre, risoranti pizzerie, trattorie stabilimenti balneari e termali; Aspetti sociali: artigianato, atteggiamento residenti e turisti, manifestazioni; Infrastrutture sanitarie e località termali: health center, terme tradizionali, alberhi relax, impianti sport-salute; Ricreazione e divertimento: centro riposo e tranquillità, impianti sportivi, locali pubblici e notturni, teatri, cinema e concerti. Infrastrutture economiche tradizionali e "minori": servizi di trasporto, strade parcheggi, aeroporti, porti, parchi turistici, impianti di risalita, negozi, produzioni tipiche, pubblici esercizi, rete telefonica, idirica…. 3.4.1 L'analisi del turismo dauno: la ricettività L'indicatore "ricettività" (in termini di posti letto delle imprese turistico-ricettive) trova ampio utilizzo nella quantificazione dell'offerta turistica , in quanto direttamente collegato alla domanda turistica, oltre che per la facilità con cui tale dato può essere reperito. La ricettività alberghiera e extra-alberghiera si articola, in base alla normativa vigente in:
Per le caratteristiche di stagionabilità dell'offerta turistica in Capitanata, si porrà maggiore attenzione alla ricettività alberghiera ed extra-alberghiera, sia perché assumo un peso rilevante sulla struttura dell'offerta ricettiva, che per la disponibilità dei rilevamenti. La ricettività alberghiera Osservando i livelli di dotazione ricettiva della Capitanata, si può notare il peso che la provincia di Foggia assume sull'aggregato regionale. Al 1994 la capacità ricettiva provinciale è pari a 93.000 posti letto, pari al 56% del valore regionale. All'interno si può notare la forte connotazione extra-albergiera, contrariamente alla tendenza nazionale: dei 93.000 posti letto, l'83% appartiene al comparto extra-alberghiero e il restante 17% a quello alberghiero. In sintesi:
La ricettività extra-alberghiera e para-alberghiera Accanto alla ricettività alberghiera è utile analizzare il comparto extra-alberghiero che in Capitanata assume un peso di rilievo, divenendo tratto caratteristico dell'offerta turistica. Questo comparto risulta costituito al suo interno soprattutto da campeggi e villaggi turistici, localizzati lungo la costa del Gargano. Questi ultimi assorbono il 99% dei posti letto extra-alberghieri e l'82% dei posti letto totali (tra il 1989 e il 1994 hanno subito un incremento superiore al 60%). I valori espressi dall'indicatore in esame assume un andamento leggermente più marcato rispetto al dato regionale (94% del totale extra-alberghiero). Il primo tratto che si delinea mostra il carattere prevalentemente vacanziero e spiccatamente stagionale del turismo nella provincia di Foggia, che rispecchia il quadro delle regioni meridionali. Infatti, tutta l'area del Mezzogiorno, grazie alle condizioni climatiche particolarmente favorevoli e all'attrazione esercitata dalle località costiero balneari, rappresenta il contesto ideale per campeggi e villaggi turistici. Il ruolo del tutto marginale degli alloggi privati iscritti al R.E.C. e degli altri esercizi ricettivi, non riflette la portata del sottosistema in esame, in quanto dal confronto con i dati relativi alle seconde case destinate all'affitto desunti dalle rilevazioni dell'ENEL si nota una forte incongruità dimensionale (ca. 38.500 unità). Le strutture non ricettive Nell'ambito di tale comparto particolare importanza assumono gli stabilimenti balneari, che rappresentano la struttura fondamentale dell'organizzazione ricettiva del turismo balneare. La provincia di Foggia presenta, insieme alla provincia di Lecce, un'elevata dotazione complessiva di tale infrastruttura. Il valore particolarmente elevato che gli stabilimenti balneari assumono nella provincia (dotazione superiore alla media regionale e nazionale) conferma la prevalenza del carattere marino dell'area. 3.4.2 La domanda turistica La stima della domanda turistica viene effettuata attraverso l'osservazione della dinamica di "arrivi e presenze", intesi i primi come numero dei clienti che utilizzano le strutture ricettive, gli altri in termini di numero di pernottamenti trascorsi in tali strutture. Il volume delle presenze in tal modo stimato lascia scoperta una parte rilevante della domanda legata agli alloggi concessi in locazione, particolarmente sviluppato nelle regioni meridionali. L'andamento dal nel periodo 1989/94
Nel 1995 si registra una battuta d'arresto nel trend in aumento, causa una stagione estiva particolarmente sfavorevole. Arrivi e presenze: la contrazione abbraccia sia gli arrivi che le presenze, in specie: per i primi il calo è pari all'11,5% per i secondi al 24%. Andamento domanda estera: aumento sia in termini di arrivi (9,6%) che di presenze (22,1%), dovuto principalmente alla caduta della lira nei confronti del marco e delle altre principali monete. Nessun segno di ripresa nel 1996, salvo che per la crescita delle presenze di turisti stranieri nelle strutture extra-alberghiere, mentre diminuiscono in quelle alberghiere. Al contrario, la domanda interna assume un trend negativo nell'ambito del settore extralberghiero, mentre cresce verso il settore alberghiero. Nonostante l'andamento positivo della componente straniera degli ultimi anni non può considerarsi come indicatore di un vero e proprio fenomeno. Allo stesso modo non bisogna ritenere che il trend segnato dalla Capitanata negli ultimi anni rappresenti un'inversione di tendenza, da decrescente (anni ottanta) a crescente (anni novanta), in quanto una serie di vincoli gravano sul settore turistico che potrebbero compromettere nel lungo periodo la crescita e lo sviluppo. 3.4.3 Punti di forza e elementi di debolezza del turismo Punti di forza Cospicuo patrimonio ambientale: oltre duemila km² di costa, il Gargano racchiude in se bellezze marine e rupestri, clima vantaggioso, laghi, montagne, parco naturale della Foresta Umbra; Subappennino Dauno caratterizzato dalla presenza di bellezze naturali e monumentali, paesaggi montani…
Capitale fisso storico: la presenza di siti archeologici e speleologici, grotte naturali, opere monumentali, basiliche e chiese rupestri, luoghi di culto spirituale, castelli e torri costiere… Agricoltura: la presenza di un vasto bacino agricolo, quantitativamente imponente, con aree caratterizzate da produzioni di eccellente qualità (olio, vino…); agricoltura tradizionale in molte aree… Elementi di debolezza Ricettività extra-alberghiera: marcata concentrazione della ricettività nel segmento extra-alberghiero, che insieme al fenomeno diffuso delle seconde case per vacanze, riduce la redditività turistica al di sotto della media nazionale; Concentrazione stagionale: più del 60% delle presenze si concentra nei due mesi di luglio e agosto, contro una media nazionale di circa il 40%; B>Scarsa valorizzazione delle risorse ambientali: soprattutto quelle relative all'entroterra garganico e del subappennino Dauno, che ritarda il passaggio dall'attuale sistema monoturistico (sea oriented), ad uno plurituristico; oltre che un inadeguata politica promozionale che riduce l'assenza del marketing alla sola promozione dell'immagine; Insufficiente rete infrastrutturale: relativamente ai collegamenti stradali, portuali, aerei; Scarsa professionalità degli operatori: spesso improntata sull'improvvisazione dell'attività; Attività formativa inadeguata: scollamento tra attività formativa e le reali esigenze della realtà turistica dell'area. Inoltre, vi è una proliferazione dei corsi di formazione, che mancano di coordinamento e concertazione. Assenza di strutture di monitoraggio: assenza di studi e analisi delle caratteristiche dell'offerta turistica e i bisogni formativi espressi dal territorio. |
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3.5 Un nuovo approccio per lo sviluppo della Capitanata |
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3.5.2. Lo scenario evolutivo e le politiche di intervento a livello locale La contraddizione generata dall'antinomia abbondanti-risorse/scarso-sviluppo rappresenta la punta dell'iceberg del problema del mancato decollo industriale dell'economia provinciale, caratterizzata da una struttura produttiva che si evolve lentamente da agricola a terziario-tradizionale saltando in buona parte la fase dell'industrializzazione. Di fronte alla presenza di grandi risorse naturali, sia agricole che ambientali, si è preferito ad una progettualità di lungo periodo, la logica dello sfruttamento immediato di breve periodo, che non ha permesso la valorizzazione delle risorse locali nel corso degli anni, ha causato una diseguale distribuzione del reddito e soprattutto ha impedito lo sviluppo dell'economia nel suo insieme (una inefficiente allocazione delle risorse – per dirla alla Pareto). Gli interventi a favore dello sviluppo del territorio devono porsi come obiettivo di medio-lungo periodo la rimozione degli ostacoli di carattere principalmente socio-culturali, che gravano sull'economia nel suo insieme, affinché si possa innescare un processo di sviluppo autogeno e autosotenentesi, in cui sono gli operatori locali a governare dall'interno il processo di trasformazione socio-economico. È quindi necessario, valorizzare le risorse, le conoscenze acquisite, i "saperi locali" sedimentatisi nella cultura locale, attraverso una rete di rapporti tra le istituzioni locali, le forze sociali e le imprese, che vada oltre il momento della sottoscrizione di una "concertazione". Le possibilità di sviluppo che si aprono attraverso la molteplicità di strumenti a disposizione degli operatori locali, non dipendono esclusivamente dall'ammontare dei finanziamenti, ma principalmente dalla capacità di accrescere la capacità di coordinamento, di progettazione degli interventi, all'interno di un piano di sviluppo integrato, che tenga conto delle specificità oltre che economiche anche sociali dell'area, concertato tra le varie forze del territorio, superando la visione individuale di sviluppo. Ciò che è apparso evidente è da un lato, il limitato sviluppo dell'agroalimentare che, di fronte ad un apparato agricolo di rilevante importanza, stenta a decollare, e dall'altro i pesanti vincoli che gravano sulla risorsa turistica, che frenano lo sviluppo di tale importante comparto dell'economia provinciale. 3.5.1 I tratti principali dell'agroalimentare provinciale L'analisi sin qui svolta ha posto in luce i numerosi limiti di carattere strutturale che affliggono l'intera filiera:
3.5.2 Lo scenario evolutivo e le politiche di intervento a livello locale L'agroindustria di Capitanata rappresenta un potenziale fattore di sviluppo, in quanto legata al rilevante apparato agricolo, sul quale sono attualmente concentrate le attenzioni dei vari operatori socio-economici e delle istituzioni locali. In relazione ai limiti evidenziati dall'analisi condotta sul sistema agroindustriale foggiano è possibile prevedere quali siano gli obiettivi perseguibili a livello locale per una politica di industrializzazione capace di valorizzare le risorse naturali presenti nell'area. Da quanto appreso, tratto peculiare delle imprese agroalimentari di Capitanata (con le dovute eccezioni) è costituito dall'elevato grado di concentrazione della produzione nel segmento della lavorazione in conto terzi. Lo scenario che si presenta di fronte al settore agroalimentare prospetta due sentieri: la specializzazione nella lavorazione conto terzi, con la (possibile) costituzione di un'area agrocommerciale" o il superamento di tale situazione mirando alla trasformazione dell'attuale settore agroalimentare verso un sistema di imprese più articolato, ipotizzando (nella migliore delle ipotesi e nel lungo periodo) la formazione di un sistema agroindustriale. Area agrocommerciale Sebbene di più facile percorrenza, non valorizzerebbe a pieno l'abbondante produzione agricola in quanto le imprese terminali esterne all'area si approprierebbero di una consistente fetta di valore aggiunto. Sistema agroindustriale (in una logica di sistema) Valorizzerebbe la produzione agricola, ma presuppone al suo interno un processo di trasformazione del settore, coinvolgendo una serie di fattori (interrelazioni produttive e informative, capacità organizzativa-manageriale, innovazioni di prodotto e di processo, ecc...) che non sono acquisibili nell'immediato, ma solo nel medio-lungo periodo in un processo progressivo di apprendimento e soprattutto attraverso una politica a livello locale che sappia essere "progettualità" e sappia coinvolgere gli operatori socio-economici e le istituzioni presenti sul territorio. Un percorso a stadi È, tuttavia possibile, considerare i due sentieri non in antitesi ma perseguibili, in qualche modo, in maniera sequenziale. Si potrebbe quindi ipotizzare una prima fase di specializzazione nel contoterzismo (come si dirà in avanti, è comunque prioritario un ampliamento della base produttiva agroindustriale), sulla base di un continuo processo di investimento e ammodernamento delle tecniche produttive che comporta una crescente divisione del lavoro tra le imprese committenti e le imprese contoterziste. Nel lungo periodo, le imprese locali "commissionarie", una volta acquisita la relativa specializzazione e un buon grado di autonomia (attraverso una diversificazione dei propri committenti), possono indirizzarsi verso una diversa organizzazione della produzione che permetta loro di produrre per i mercati finali. Il passaggio, sebbene semplicisticamente esposto, non è immediato né tanto meno di facile riuscita e soprattutto presuppone una politica di sviluppo a livello locale che modifichi la logica che ha governato l'intera economia foggiana. Una tappa ineliminabile del processo di crescita e di trasformazione dell'economia di Capitanata è rappresentata dall'aumento della produzione agroindustriale, in termini di allargamento della base produttiva e la razionalizzazione e il consolidamento del tessuto industriale locale esistente. Per quanto riguarda il primo obiettivo si ripropone la questione ricorrente nelle aree con insufficiente grado di industrializzazione: se sia opportuno puntare su un processo di industrializzazione endogeno (basato sull'utilizzo di risorse locali e su un imprenditoria autoctona, supportata da una politica di incentivazione alla formazione di nuove imprese), o su un processo di industrializzazione esogeno (basato sulla localizzazione di impianti provenienti dall'estero). Un processo di industrializzazione basato sull'imprenditoria esterna rappresenta una scorciatoia nel processo di trasformazione di un sistema locale, perché permette di importare fattori scarsi come quello imprenditoriale-organizzativo ed alla capacità di queste imprese di garantire l'introduzione rapida nell'area di tecnologie avanzate, di innovazione organizzativa, di cultura industriale in genere (G. Garofoli, 1991). Le azioni di industrializzazione del territorio che in passato sono state intraprese hanno privilegiato la logica dello sviluppo esogeno più che endogeno, con l'obiettivo prioritario del contenimento della disoccupazione e al contempo favorendo l'introduzione di quei fattori strategici di cui difetta l'area, difficilmente producibili nel breve periodo attraverso le iniziative imprenditoriali basate sulla domanda locale. Poiché tali effetti non si sono riversati sul territorio, sembra perseguibile la strada di un processo di industrializzazione di carattere endogeno, o meglio che questo rappresenti l'obiettivo prioritario, non rifiutando tout-court interventi a sostegno dell'imprenditoria esterna (al limite la formazione di imprese locali, nella prima fase, può essere avviata da imprenditori esterni). Perché si possa raggiungere tale obiettivo è necessario prendere in considerazione quelle variabili "strategiche" che sono alla base di un processo di industrializzazione "nascente dal basso", sulla base dell'esperienza delle altre aree del nostro paese che hanno conosciuto tale forma di sviluppo, tuttavia, senza pensare alla possibilità di proporre un modello a stadi o "teoricamente" predeterminato. Ciò che sembra opportuno sottolineare è, che la riflessione svolta attraverso questo tipo di approccio non vuole ripercorrere i sentieri dello sviluppo vissuto altrove, in quanto si riconosce la specificità dei processi di trasformazione socio-economica e la non emulabilità attraverso un modello teorico. L'utilità che ne deriva riguarda la possibilità di affrontare il problema dello sviluppo dell'economia provinciale in una nuova prospettiva, ponendo attenzioni su variabili non esclusivamente economiche, ma principalmente sociali, che si sono rivelate cruciali nei processi di sviluppo locale. 3.5.2.1 Sviluppo locale: i fattori basilari Come in precedenza osservato, il fenomeno dello sviluppo economico che aree di recente industrializzazione hanno vissuto, ha mostrato la presenza di alcune variabili, risultate fondamentali per l'avvio di un processo di crescita. Tali nuove forme di interpretazione dei processi di sviluppo economico possono consentire di analizzare, ponendo attenzione sui fattori determinanti dello sviluppo, il territorio della provincia di Foggia, che non è riuscito a cogliere tali nuove opportunità di sviluppo pur essendo ricca di risorse naturali. Nelle pagine precedenti sono stati individuati i fattori "cruciali" in grado di innescare quei meccanismi che sono alla base della formazione di nuove imprese, sinteticamente schematizzati di seguito:
Prendendo in considerazione il primo fattore, si può notare come la limitata disponibilità di esso costituisce un tratto comune della storia delle aree scarsamente industrializzate, che ha indotto interventi di industrializzazione basati su imprenditoria esterna con l'obiettivo di importare (abbreviando i tempi di diffusione) tale fattore scarso, difficilmente riproducibile nel breve periodo. Nella provincia di Foggia la scarsità della capacità organizzativa-imprenditoriale, che ha vissuto un "tempo di sedimentazione" nella cultura locale piuttosto breve, non ha favorito la diffusione degli altri fattori strategici (tecniche di produzione, tecniche organizzative, informazioni sui potenziali mercati di sbocco, competenze tecniche specifiche sul mercato del lavoro), ha esaltato le diseconomie esterne, innescando un circolo vizioso alimentato dalla sostanziale assenza di relazioni (scambi di specifiche lavorazioni, di informazioni...) tra le imprese e tra queste e l'ambiente. Risvolto pratico di tale fenomeno è evidente nella filiera agroalimentare dove l'assenza di rapporti di scambio tra le imprese, più in generale lo scarso grado di associazionismo imprenditoriale, "intrappola" all'interno delle singole aziende i potenziali elementi di coesione di un "sistema locale" e non innesca quei processi di valorizzazione delle economie esterne alle imprese ma interne all'area. Quando le imprese presenti in un'area sono isolate le une dalle altre non si innescano i processi di divisione del lavoro e di allungamento della filiera produttiva che a loro volta non consentono la diffusione delle innovazioni e delle informazioni, in breve non si innescano le interazioni sinergiche tra le imprese capaci di rendere più competitiva la produzione industriale. Sebbene con sfumature diverse, ma nella sostanza simile, la scarsità della risorsa "cultura imprenditoriale" ha prodotto effetti negativi anche nell'ambito del settore turistico, che sebbene cresciuto, grazie soprattutto all'abbondanza di risorse naturali, sconta gli effetti di una politica dell'isolamento e dello sfruttamento di breve periodo. L'assenza di progettualità e di forme di cooperazione imprenditoriale limitano fortemente le possibilità di sviluppo del turismo, un settore in rapida evoluzione, che si dirige verso modelli integrati capaci di rispondere alla variegata e complessa domanda di mercato. 3.5.2.2 Sviluppo locale e agroindustria: alcune linee guida Una politica di intervento a livello locale nel settore agroindustriale dovrebbe perseguire, come accennato nelle pagine precedenti, l'ampliamento della base produttiva e il consolidamento del tessuto agroindustriale esistente. Ciò che sembra più importante è inserire i suddetti obiettivi in un'ottica di sviluppo locale, basato (principalmente) su imprenditoria locale. Gli interventi sul territorio devono mirare a garantire (nel medio-lungo periodo) un processo di sviluppo in cui gli operatori locali siano in grado di governare dall'interno il processo di trasformazione del sistema locale. I due obiettivi sono strettamente connessi l'uno all'altro in quanto l'aumento della base produttiva di per sé non garantisce lo sviluppo dell'area: se le nuove imprese non entrano in contatto con quelle già presenti (per la diffusione delle conoscenze sulle tecniche di produzione, sulle tipologie di mercato, sui controlli qualitativi, sui mercati di sbocco...) si innescano quei meccanismi di isolamento aziendale, con effetti di "sterilità economica" che amplificano le diseconomie del territorio. Per quanto riguarda l'obiettivo del consolidamento del tessuto agroindustriale, esso non è perseguibile singolarmente poiché si pone il problema del raggiungimento di una soglia minima di produzione (attualmente insufficiente) che garantisca sia una sufficiente divisione del lavoro tra le imprese locali sia l'utilizzazione di tecniche produttive e metodi organizzativi più avanzati. Le politiche di intervento a livello locale dovrebbero, quindi:
3.5.2.3 Sviluppo locale e turismo: alcune linee guida Le azioni a favore dello sviluppo I molteplici fardelli che affliggono il turismo della provincia di Foggia, hanno evidenziato i limiti di una politica dello sfruttamento "selvaggio" e dell'assenza di progettualità, che ha comportato un rilevante ritardo nell'evoluzione dei modelli organizzativi e frenato le opportunità di crescita dell'economia turistica. L'erogazione di un servizio semplice, basato esclusivamente sulle risorse ambientali, capace di soddisfare una domanda inizialmente "semplice", si scontra con l'evoluzione dei comportamenti dei fruitori, costituenti segmenti differenti del mercato, sempre più indirizzati verso "prodotti" fortemente integrati: sole-relax-cultura-servizi. Di fronte ad una emergente "domanda di territorio" nella sua complessità, gli operatori pubblici e privati, devono essere capaci di esprimere una visione progettuale e strategica degli interventi capace di "mettere a valore" i potenziali fattori di sviluppo.
Riorganizzazione integrale dei soggetti coinvolti nel settore (imprenditori, Comuni, Provincia, Ente Parco, Comunità Montana, Camera di Commercio, aziende di promozione turistica) per la definizione delle competenze e per ritagliare a livello territoriale le politiche turistiche, il coordinamento dei vari obiettivi e degli strumenti, all'interno di un piano di sviluppo integrato. Quest'ultimo in linea con il Piano di Sviluppo turistico della regione Puglia e il piano socio-economico della Comunità Montana del Gargano, al fine di evitare sovrapposizione di interventi capaci di vanificare gli effetti. Destagionalizzare il patrimonio ricettivo, da un lato attraverso l'ammodernamento e la crescita del comparto alberghiero, dall'altro riconvertendo i parchi di campeggio in villaggi turistici, per offrire un'adeguata risposta alla nuova domanda. E' importante che la nuova politica degli investimenti, sia privati che pubblici, miri alla ristrutturazione dell'offerta turistica verso modelli turistici integrati di "sport-spettacolo-cultura": recupero conservativo e rivitalizzazione dei centri storici, mobilità marina attraverso itinerari nautici individuando porti e approdi turistici, centri congressi, impianti sportivi (campi da golf, parchi acquatici, centri di equitazione…)… Integrazione del turismo con gli altri settori economici, in primis con l'agricoltura, in secundis con l'artigianato (si pensi anche alla pesca…). Il turismo potrebbe costituire un importante volano per l'agricoltura specializzata nelle produzioni tipiche attraverso l'utilizzazione del marchio di qualità del "Parco Nazionale del Gargano". Potenziamento e diversificazione delle vie d'accesso al Gargano: aeree, stradali, marittime. Riordino territoriale, partendo dalla razionalizzazione, dal riequilibrio e dalla ristrutturazione dell'esistente, ponendosi come obiettivo il miglioramento non solo dell'immagine del territorio, ma anche delle infrastrutture, della qualità dei servizi dei centri garganici. Sviluppo dell'attività di monitoraggio del mercato del lavoro e dei bisogni formativi; definizione dei percorsi formativi sulla base dei bisogni espressi dal territorio; coinvolgimento sia degli imprenditori turistici, troppo spesso "improvvisatori", che degli studenti e i partecipanti ai corsi di formazione; stimolare la domanda di servizi avanzati di figure professionali specifiche in grado di cogliere le opportunità di mercato. I suggerimenti indicati non rappresentano la "ricetta" per i problemi, ma mirano ad evidenziare la necessità di predisporre un pacchetto di politiche di intervento, per il sostegno dell'economia locale, capace di valorizzare le risorse esistenti e di qualificare la propria produzione, puntando su modelli di sviluppo endogeni (in grado di governare dall'interno il processo di sviluppo) capaci di cogliere le opportunità di crescita e trasformazione che si presentano nei prossimi anni. Ciò che sembra prioritario, perché una politica di intervento a livello locale sia efficace, è mutare la logica che ha governato i processi decisionali. I nuovi interventi devono essere accompagnati da uno spirito di solidarietà e di collaborazione tra le forze sociali e le istituzioni locali e devono essere espressione di una comunità protagonista del proprio sviluppo, capace di innovarsi e di reagire alle sollecitazioni esterne. |
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